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Emergenza sanitaria: piscine a rischio chiusura

Manifestazione di protesta domenica 6 febbraio

Il Coordinamento Associazioni Gestioni Impianti Natatori lancia l’ennesimo disperato grido di allarme.
Si rischia di non poter più garantire un servizio a milioni di utenti, che ha anche un’importante valenza sociale, per la forbice sempre più ampia fra costi e ricavi.
Per questo domenica 6 febbraio quasi tutti gli impianti d’Italia resteranno chiusi per protesta. A Genova aderiscono all’iniziativa diverse piscine fra le quali Crocera Stadium, Gropallo, S. Fruttuoso.

E’ un comparto che in tutta Italia impiega oltre 300.000 persone fra dipendenti e collaboratori sportivi. Su 23 mesi di pandemia, in 10 le piscine sono rimaste chiuse mantenendo tuttavia costi enormi che hanno generato ingenti perdite: sono state le prime ad aver imposto l’obbligo di Green Pass e nonostante questo lavorano al 40% della loro potenzialità per la riduzione di capienza determinata dalle norme Covid, mai allentate, e per un calo degli utenti. Con l’aumento dei contagi ed una certo timore psicologico, anche ingiustificato, si è registrata infatti una diminuzione notevole di iscritti ai corsi, soprattutto fra i ragazzi. I decreti ristori hanno garantito somme che equivalgono solo al 5% dei ricavi annuali. Ora, se non bastasse, è arrivato lo “tsunami” del cosiddetto “caro-bollette” con aumenti superiori del 50%. In condizioni normali una piscina di 25 metri per 10 ha un costo di 500.000 euro all’anno, un impianto di 33 metri costa 1.200.000: si passerà a 750.000 e 1.800.000, cifre con le quali si rischia il fallimento. I gestori, fornendo un servizio pubblico, hanno prezzi calmierati, i disabili ad esempio non pagano, e non possono e comunque non vogliono aumentare i biglietti di ingresso per non penalizzare gli utenti.
Fra gli utenti ci sono atleti agonisti di nuoto, nuoto sincronizzato e pallanuoto: anche in epoca pre-covid tenere aperti gli impianti per loro, che non pagano quote di iscrizione, rappresentava solo un costo, figuriamoci ora.

Il problema è strutturale ed il rischio è quello che i gestori riconsegnino le chiavi delle piscine alle civiche amministrazioni che hanno già dimostrato in passato di non essere in grado di occuparsi direttamente degli impianti. Anche in Liguria ed a Genova i segnali sono davvero preoccupanti: le piscine di Bordighera, Sanremo ed Arma di Taggia sono fallite, quella del porticciolo di Nervi non c’è più.

I gestori hanno ereditato dai Comuni impianti vecchi che consumano tanta energia: chiedono quindi con forza, non solo contributi a fondo perduto erogati con procedure più semplici ed eque ma anche, ad esempio, di poter usufruire dell’eco-bonus 110% per poter fare investimenti.
La protesta del 6 febbraio, si legge nel comunicato del Coordinamento Associazioni Gestioni Impianti Natatori “è un atto forte, mai fatto prima, ma anche un atto responsabile per evitare un disastro di questa portata in un Paese che ancora una volta non si occupa dello sport di base e non sembra capire quanto sia importante per la crescita delle giovani generazioni, forse le più colpite dalla pandemia”.

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