La parola
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XXVIII Domenica Tempo Ordinario, Mc 10, 17-31

Vendi quello che hai e seguimi

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre"». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

“Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio”: le parole di Gesù ai discepoli stupiti e sgomenti, sono il punto d’arrivo di tutto il brano di Marco, e ci avvertono che siamo tutti dei “ricchi” attaccati alle nostre cose, privi della povertà dei bambini e dei piccoli, incapaci di salvarci da noi stessi. L’evangelista narra la storia di una vocazione mancata: c’è un uomo ricco che si avvicina a Gesù con stima e rispetto, nella sua domanda traspare l’animo del pio ebreo che vuole compiere le opere della Legge ma nello stesso tempo dà voce al cuore umano che da sempre è assetato di “vita eterna”, di una vita piena, totale, libera dallo smacco della morte. Quest’uomo è un giudeo che mostra di essere irreprensibile nell’osservare i comandamenti fin dalla sua giovinezza. Ma accade qualcosa d’imprevisto, perché Gesù rivolge un invito che è il modo autentico di vivere la pienezza della Legge, il duplice comandamento dell’amore a Dio e al prossimo (cfr Mc 12,30-34). Infatti, “va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri” è la strada per amare i fratelli, uscendo da una logica di possesso, e imparando a condividere, fino in fondo i propri beni, mentre “vieni! Seguimi!” è amare con tutto se stessi il Dio vivente che ora il volto umano e bello di Gesù. Un tale movimento di vita non è un “consiglio” per pochi, nella sostanza è rivolto a tutti coloro che hanno la grazia di incontrare Cristo e di scoprire il suo sguardo personale d’amore, uno sguardo penetrante (letteralmente si dovrebbe tradurre: “Gesù, guardandolo dentro, lo amò”) e che è capace di afferrare l’intimo della nostra libertà: l’imprevisto che può dare una nuova direzione alla nostra vita nasce da una Presenza che ci ama e che provoca in noi un’affezione profonda e che genera un modo diverso di usare delle cose e dei beni, con una libertà, un distacco e una gratuità prima ignote. Ma tutto ciò non è meccanico, chiede una disponibilità che diviene decisione e attaccamento a Cristo vivo, e purtroppo l’uomo chiamato da Gesù, si fa scuro in volto, quasi inorridisce alle parole del Maestro, e se ne va via rattristato, “possedeva infatti molti beni, forse consapevole di aver perduto il vero tesoro della vita. La fine notazione psicologica di Marco esprime un’esperienza facilmente verificabile e che i più attenti conoscitori dell’animo umano hanno spesso evidenziato: “A differenza del nemico, che dà piacere nel male e angustia nel bene, il Signore, come dà gioia nel bene, così dà tristezza nel male perché ci si ravveda” (S. Fausti). In questo senso c’è sempre una speranza aperta, perché ogni uomo, anche il più chiuso all’appello del vero, può cambiare, può lasciarsi muovere dalla sua “tristezza” a ricercare il bene mancato, iniziano a riconoscere la propria reale “povertà”, la sua incapacità a liberarsi, da solo, da tanti vincoli, dal possesso che rende schiavi e meschini, da un’affezione disordinata e soffocante a beni particolari e parziali. Spesso illusori e deludenti. Qui comprendiamo il commento provocante che Gesù rivolge, guardando i suoi discepoli, con l’immagine paradossale del cammello che passa per la cruna di un ago: davvero entrare nella logica nuova del Regno non è solo “difficile”, ma è impossibile, soprattutto per chi, avendo tante ricchezze (non solo economiche), si sente sicuro di sé e si ritrova con una libertà opaca e appesantita. I discepoli, stupiti e sgomenti, capiscono e confessano: “E chi può essere salvato?”; questa ammissione è l’inizio della liberazione, perché ci pone, tutti, in una posizione umile, di domanda e quasi di mendicanza, e ci apre così all’opera di Dio. E’ Lui che ci può rendere piccoli e poveri, è Lui che ci può donare la libertà del cuore che finalmente si lega all’unica Presenza che vale e concepisce tutto come un dono da condividere, da non tenere per sé. Così le parole di Pietro – “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” – non vanno intese come una sorta di auto-elogio, o di implicita pretesa, ma sono parole cariche di stupore: come a dire, “Ecco è possibile, può accadere, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, non perché siamo più bravi o generosi, ma per Tua grazia, perché Tu Signore ci hai conquistato il cuore, perché Tu hai reso possibile l’impossibile”. Questa è la promessa che si apre a noi che ora ascoltiamo questo vangelo, perché ciò che è accaduto ai primi e, dopo di loro, a tanti discepoli del Signore, può accadere anche a noi, nell’incontro sorprendete tra la potenza di uno sguardo che ci ama e ci entra dentro, e la libertà umile di chi sa di non potersi dare la salvezza.

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