La parola
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30a domenica del Tempo Ordinario, Mc 10, 17-30

Rabbunì, che io riabbia la vista!

Siamo alla fine della sezione del Vangelo di Marco che precede la salita di Gesù a Gerusalemme. Con l'inizio del capitolo undicesimo, infatti, assisteremo all'entrata trionfale del Messia Gesù nella città santa, accolto trionfalmente. Gesù per tre volte ha predetto la sua sorte in quella città, e la reazione dei suoi è stata di scandalo (Pietro) o richiesta di onorificenze speciali (i figli di Zebedeo). Ecco perché, appena oltrepassata la città di Gerico, appena Gesù si avvia verso la salita alla città santa, l'evangelista Marco racconta di un incontro particolare.

Rabbunì, che io riabbia la vista!

Siamo alla fine della sezione del Vangelo di Marco che precede la salita di Gesù a Gerusalemme. Con l'inizio del capitolo undicesimo, infatti, assisteremo all'entrata trionfale del Messia Gesù nella città santa, accolto trionfalmente. Gesù per tre volte ha predetto la sua sorte in quella città, e la reazione dei suoi è stata di scandalo (Pietro) o richiesta di onorificenze speciali (i figli di Zebedeo). Ecco perché, appena oltrepassata la città di Gerico, appena Gesù si avvia verso la salita alla città santa, l'evangelista Marco racconta di un incontro particolare. E' importante notare innanzitutto chi è colui che incontra Gesù. I verbi come sempre sono importanti da annotare. Egli siede lungo la strada: la strada, luogo in cui si cammina, in questo caso la via che Gesù stesso con i suoi sta percorrendo, diventa per questa persona luogo di stasi. Non riesce a muoversi, è seduto in un luogo dove ci si deve muovere. Egli mendica verso coloro che passano, ossia è in situazione di povertà, di bisogno. E' costretto dalla vita ad abbassarsi al di sotto degli altri, è obbligato a chiedere qualcosa senza essere per niente sicuro di ricevere, dal momento che sulla via normalmente molti hanno fretta di andare, e non si fermano. Infine è cieco, non vede ciò che gli altri vedono, o credono di vedere. Vive nel buio di chi non conosce il volto del fratello, di chi non può lodare il Signore per il sole che sorge o che tramonta, vive nel buio di chi è privato della gioia di poter affondare i propri occhi negli occhi di un'altra persona, instaurando una comunicazione vitale, uno scambio di amore, di amicizia, di mutua comprensione. Il suo nome è strano, mezzo aramaico e mezzo greco, inesistente nell'Antico Testamento. Spesso gli evangelisti non nominano le persone che incontrano Gesù, o danno loro nomi simbolici, in modo che ogni lettore, ogni discepolo possa identificarsi con chi incontra Gesù. Per alcuni è la cultura greca, cieca, che incontra Gesù, cosa che trova riscontro in tutta la sezione (la donna sirofenicia è chiamata 'ellenica', le regioni e la cultura che Gesù incontra in alcune terre sono quelle elleniche, il Timeo è un'opera di Aristotele). Ma nel mezzo nome aramaico del tale in questione possiamo anche intravedere l'Ebraismo che incontra Gesù, come pure la condizione umana in quanto tale. Tutti noi siamo presenti in questo Bar-Timeo, figlio di Timeo. Egli è l'uomo cieco, dipendente dagli altri, povero e costretto a chiedere. Bartimeo però ci sente bene, come ogni cieco. Sente che colui che passa è Gesù. E allora incomincia a gridare senza smettere (verbo all'imperfetto). E' il grido di chi ha toccato il fondo. Grida verso Gesù, riconoscendolo Re Messia, Unto del Signore, Figlio di Davide. La sua è già una professione di fede. Come dire: uno che da tutti era considerato un poveraccio, incapace di camminare su di una strada, non vedente e povero, è invece in grado di riconoscere Gesù meglio di coloro che sono dotati della vista. Deve anche superare l'ostacolo di coloro che sono intorno a Gesù. Non si sa bene per quale motivo, cercano di zittirlo. Credono che il grido di un povero, di una persona che è scesa nel baratro di se stesso, quindi autentica, disturbi il Maestro che passa. Quale sorpresa quando Gesù, ironicamente, lo fa chiamare proprio attraverso quelle persone che volevano ridurlo al silenzio. Tre volte ricorre il verbo 'chiamare', indirizzando il brano verso i racconti di 'vocazione', come quelli della chiamata dei primi discepoli. I discepoli avevano lasciato la barca, o le relazioni familiari. Il cieco Bartimeo ha solo il suo mantello, e lo lascia. Si lascia alle spalle la sua vita passata, la sua personalità, tutto quanto ha per vivere (Esodo 22,26). Balza in piedi, con un verbo che ricorda la Risurrezione, il sorgere alla vita vera. Esce da una vita statica, bloccata, oppressa e svuotata. Sta per entrare definitivamente in una vita riempita nuovamente di sguardi, e rinnovata con relazioni nuove, una vita di obbedienza amorosa al seguito del Maestro. A lui viene rivolta la stessa domanda che Gesù aveva già rivolto ai figli di Zebedeo: 'Cosa vuoi che io faccia per te?' Non può non commuoverci, ogni volta, questa umile disposizione di Gesù, la sua disponibilità nei nostri confronti, l'atteggiamento di Colui che è venuto non per essere servito ma per servirci, per fare sedere noi come commensali alla sua tavola e mettersi al nostro servizio come cameriere del pane di Vita. La risposta che ottiene è però radicalmente diversa. Non onorificenze, bensì la vista chiede Bartimeo. La vista vera: che io possa vedere, chiede l'uomo di Gerico, chiamando Gesù in modo unico, che non ricorre altrove nel vangelo di Marco. Rabbuni, Maestro (grande) mio, lasciandoci sottintendere che la vista richiesta non è solo quella degli occhi, bensì la visione nuova sulle cose, uno sguardo alla vita che non si lasci ingannare dalle apparenze. La risposta di Gesù rimanda alla vista della fede. Colui che si pensava cieco, in realtà aveva tale vista interiore profonda, che ci fa vedere ben al di là del visibile. 'La tua fede ti ha salvato', e il prodigio della guarigione questa volte non viene nemmeno descritto, solo raccontato, rimandando al vero prodigio: davanti a Gesù in cammino verso il suo mistero pasquale a Gerusalemme, non ci sono solo obiezioni e fraintendimenti, c'è anche un uomo che si fida talmente di Gesù da riuscire a vedere in Lui la salvezza. L'epilogo non può essere altro che una sequela incondizionata. Recuperare la vista, credere e seguire Gesù diventa un solo gesto. Bartimeo è una lezione per ognuno di noi, per ogni discepolo, è l'immagine del vero credente. Una fede 'cieca' in Gesù salva la nostra vita dalle tenebre dell'oppressione, della povertà e della emarginazione nella quale la folla di sempre vuole confinare il nostro grido disperato verso Gesù, fonte della salvezza. Tale fede è già vederci bene, è già poter camminare sui passi di Gesù, fare propria la sua Via.

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