La parola
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Porto le stigmate di Gesù sul mio corpo

XIV Domenica del Tempo Ordinario (anno C)

Fratelli, quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.

Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.

D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo.

La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

Nell'epilogo del suo scritto alla comunità cristiana della Galazia, Paolo sintetizza le spiegazioni e le risposte alle obiezioni circa la esclusiva validità salvifica di Cristo, il superamento della precettistica veterotestamentaria, la vera libertà interiore del battezzato, affermando che non è giustificato “altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo!”.

Il Cristiano cioè non può vantare diritto alla salvezza per le proprie opere, anche se buone naturalmente, ma soltanto per la partecipazione alla redenzione di Cristo, il quale si dona agli uomini in maniera tale che questi possono dirlo “nostro”. La redenzione che lo mostra in tutta la sua divinità, lo rivela “Signore”.

Per salvarsi occorre un rinnovamento, che è genuino soltanto se interiore, se tocca le profondità della persona, l'anima – “essere nuova creatura” – mentre “la circoncisione” resta un fatto esteriore, senza alcuna efficacia. Il rinnovamento vero pertanto è solo quello operato dalla “Croce”, la quale dunque è norma di vita cristiana e, come tale, fondamento della vera pace: chi segue la “Croce” sa di essere sulla strada giusta e ciò non può non donare serenità.

Prima di concludere Paolo riprende il tono deciso e severo: “d'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi” che intralcino il mio ministero apostolico: questo non può non essere autentico se – com'è vero – “porto le stigmate di Gesù nel mio corpo”, ossia la sofferenza, con cui partecipo alla “Croce”. 

Tono severo, ma non acrimonioso: scandire la verità con schiettezza e severità è dovere dell'apostolo, il quale non può che auspicare per i suoi fedeli “la Grazia del Signore”, sottolineando – inconsuetamente – che l'affetto, con cui si rivolge ai Galati, è davvero fraterno e quasi si fa accorato ed implorante, prima di sancire con l'“Amen” la sua lettera.

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