La parola
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V domenica di Quaresima, Gv 11, 1-45

Io sono la resurrezione e la vita

La terza grande pagina di Giovanni, proposta in quest'anno liturgico nel tempo di Quaresima, ha un evidente carattere pasquale, e, come i precedenti brani della samaritana e del cieco nato, si presta ad una rilettura in chiave battesimale: la risurrezione di Lazzaro, ormai preda della corruzione della morte, diventa un annuncio della risurrezione di Gesù, e una figura di quella nuova vita, donata ai credenti, a partire dal gesto battesimale.

Io sono la resurrezione e la vita

La terza grande pagina di Giovanni, proposta in quest'anno liturgico nel tempo di Quaresima, ha un evidente carattere pasquale, e, come i precedenti brani della samaritana e del cieco nato, si presta ad una rilettura in chiave battesimale: la risurrezione di Lazzaro, ormai preda della corruzione della morte, diventa un annuncio della risurrezione di Gesù, e una figura di quella nuova vita, donata ai credenti, a partire dal gesto battesimale. Certo la risurrezione del Signore è qualcosa di unico e singolare, non è un semplice ritorno alla precedente esistenza, ma un passaggio dalla morte alla vita, definitiva e indistruttibile, che è in Dio, e tuttavia, l'evangelista, nella cura con cui svolge la narrazione del segno di Lazzaro, è illuminato dalla luce e dalla gloria della Pasqua di Cristo. Colpisce il legame, affettivamente intenso, che è testimoniato nel racconto, tra Gesù e la famiglia di Lazzaro, una vera amicizia, che si carica di commozione e dolore di fronte alla sofferenza delle sorelle e alla morte dell'amico: 'Signore, ecco, colui che tu ami è malato'. Quest'amore, così profondamente umano e incarnato, per l'amico Lazzaro, si fa turbamento, pianto di fronte al sepolcro, alla pietra che sigilla la fine umana, il limite insuperabile della morte: il Dio che si rivela nel volto di carne del suo Figlio, uomo in mezzo agli uomini, non è un'Onnipotenza impassibile, non è un Mistero inaccessibile, senza rapporto con il dramma dell'umana esistenza, è invece il Dio che si muove a compassione, che vive, dal di dentro, il dolore, il turbamento, fino alle lacrime, è il Dio della vita, che nel suo amore si china sulla sua creatura, ferita e mortale, e dona la possibilità di un'insperata risurrezione. Nella narrazione, accanto a questi tratti umani di Gesù, vengono alla luce i contorni originali del suo volto di Figlio, nel suo paradossale rinvio della partenza per Betania, perché sia più chiara la gloria della vita, che supera la morte ormai consumata, nel dialogo intenso con Marta, nella sua preghiera di ringraziamento al Padre, prima della parola autorevole, rivolta al defunto: 'Lazzaro, vieni fuori!'. Dunque, nell'uomo Gesù, contempliamo il Signore della vita, il Figlio che partecipa della potenza vivificante del Padre, che sa dire parole efficaci, come quelle di Dio; al centro del racconto, non a caso, sta il colloquio tra Marta e Gesù, colloquio che si dispiega intorno al tema della fede e dell'autentica identità del maestro. E, secondo una caratteristica propria del quarto vangelo, c'è una concentrazione radicale nella persona di Cristo, che raccoglie in sé, come realtà presente, anche la promessa di vita eterna, per chi crede in lui: 'Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno'. C'è una tensione che attraversa l'esistenza del credente, di chi ha la grazia e la libertà di riconoscere Gesù e di aderire alla sua persona: da una parte c'è una morte, che non viene risparmiata a nessuno, come accadrà al Signore stesso nell'ora della croce, com'è accaduto a Lazzaro, ogni uomo nasce per morire, è un 'essere per la morte', anche se tante volte, finge di dimenticare questa finitezza che lo contraddistingue; ma, d'altra parte, Cristo immette nella storia di chi lo incontra una potenza di risurrezione, una vita nuova, indistruttibile, che ci sottrae alla morte eterna; vivendo e credendo nel Signore, che ha vinto la morte nella sua Pasqua, noi viviamo della sua vita, noi entriamo già nella vita eterna, nella vita vera, che oltrepassa i limiti di un'esistenza puramente biologica e temporale. La risurrezione finale del nostro corpo, che conosce il disfacimento della morte, si annuncia, nel miracolo di Lazzaro che esce dal sepolcro, ed è garantita nella Pasqua del Risorto, e insieme, trova un suo reale inizio nella vita della fede, perché per la comunione con Cristo, sorge una nuova esistenza, come testimoniano i santi di ogni tempo; tutto si gioca nella personale posizione che assumiamo di fronte a Gesù, di fronte al suo annuncio, inaudito e, al fondo, atteso: 'Credi tu questo?'. La fede non è un possesso garantito, ma il rinnovarsi quotidiano del nostro riconoscimento: 'Sì o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo'.

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