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II lettura di domenica 7 agosto - XIX domenica del Tempo Ordinario

Le disposizioni - Anno C

II lettura di domenica 7 agosto - XIX domenica del Tempo Ordinario

Dalla lettera agli Ebrei
Eb 11,1-2.8-19
Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.

La fede è disposizione fondamentale, imprescindibile che l'uomo deve avere per poter sperare, attendere con certezza la realizzazione di quanto è stato preannunciato e per poter avere motivo di indubitabilità – “prova” - per le realtà che non hanno evidenza.

Bisogna solo avere l'umiltà di riconoscere che l'uomo non può considerarsi unica misura di tutta la verità e far più credito alla parola di Dio che non alla propria esperienza, alla propria logica: in ciò consiste appunto il carattere meritorio della fede, in cui “gli antichi hanno ricevuto buona testimonianza”.

L'autore della lettera quindi cita alcuni di quegli “antichi”. Abramo, il “padre della fede”, il quale parte per ignota desti­nazione, obbediente all'ordine divino (“parti, alla volta della terra che io ti mostrerò” - Gen. 12,1) ed accetta di vivere “come straniero”, anzi da nomade, sotto la tenda, nell'aspet­tativa del possesso del la città architettata e costruita da Jahvè stesso: la Gerusalemme terrena e la Gerusalemme celeste, eterna.  Emblematica la vicenda di Sara, la quale, in attuazione della promessa divina, diventa miracolosamente madre, nono­stante la sua sterilità e la vecchiaia di Abramo (Gen 18, 9 ss. 21,1-2). Il figlio, Isacco sarà il primo individuo di una “innumerevole” discendenza non soltanto realizzata sul piano fisico, ma sul piano spirituale: da un uomo, Abramo “già segnato dalla morte” Dio dà inizio ad un popolo, il suo popolo, il quale fruirà di una vitalità non soltanto naturale, ma soprannaturale. Il superamento della prevedibilità umana è signorile, da Dio.

Ancora Abramo, il quale, nella pienezza della fede, obbedisce a Jahvè che gli ordina di immolare proprio l'unico figlio, concessogli prodigiosamente, come primo di una discendenza straordinariamente numerosa: Abramo sa che, morto Isacco, la discendenza non potrebbe esserci, ma sa pure che la promessa di Jahvè non può venir meno, sa che Jahvè provvederà, magari – chissà? – risuscitando il figlio immolato.

La fede di Abramo non è delusa. Perché Dio non può deludere.

Identica dimensione di fede vivono i discendenti, Isacco e Giacobbe.

Così costoro concludono la loro esistenza nella consapevolezza di dover attendere non tanto i beni terreni promessi quanto piuttosto i beni eterni.

Fonte: Il Cittadino
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