La parola
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27a domenica del Tempo Ordinario - anno A, Matteo 21,33 -43

Darà in affitto la vigna ad altri contadini

La parabola proposta al nostro ascolto è collocata nel contesto della polemica sempre più viva tra Gesù e le autorità religiose del popolo d'Israele, nel suo ministero a Gerusalemme, tuttavia, nella redazione di Matteo, questo racconto può essere letto a due livelli: un primo livello riguarda la drammatica vicenda d'Israele e in particolare la cecità dei capi, che molte volte non hanno saputo riconoscere i veri profeti, e ora giungono a respingere violentemente Gesù stesso, il Figlio inviato dal Padre; un secondo livello della parabola riguarda i membri della comunità ai quali si rivol

Darà in affitto la vigna ad altri contadini

La parabola proposta al nostro ascolto è collocata nel contesto della polemica sempre più viva tra Gesù e le autorità religiose del popolo d'Israele, nel suo ministero a Gerusalemme, tuttavia, nella redazione di Matteo, questo racconto può essere letto a due livelli: un primo livello riguarda la drammatica vicenda d'Israele e in particolare la cecità dei capi, che molte volte non hanno saputo riconoscere i veri profeti, e ora giungono a respingere violentemente Gesù stesso, il Figlio inviato dal Padre; un secondo livello della parabola riguarda i membri della comunità ai quali si rivolge il vangelo di Matteo, e attraverso di loro, tutti i discepoli che verranno, fino a noi, perché ciò che è accaduto nella storia del popolo ebraico, riaccade nelle vicende della Chiesa, comunità generata dalla Pasqua del Signore. Possiamo vedere in questa parabola un'autentica teologia della storia, dove traspare una distanza profonda tra l'agire di Dio e l'agire degli uomini: questo padrone che, in due riprese, manda i suoi servi, nonostante non raccolgano nessun frutto dai vignaioli, anzi ricevano reazioni violente, fino alla morte, è davvero strano, invece di ricorrere alla forza per ottenere ciò che è giusto, o almeno per punire i colpevoli, arriva a un gesto ultimo, estremo, manda il suo figlio, confidando, un po' follemente, che i vignaioli ne avranno rispetto. A fronte di questa inesausta iniziativa di Dio, che ha trovato realizzazione nella storia d'Israele, nei tanti profeti inviati e inascoltati, c'è la grettezza d'animo dei vignaioli, che al fondo, si considerano padroni della vigna, vogliono tenere per sé i frutti, giungono addirittura ad un progetto altrettanto irragionevole: uccidere il figlio per avere l'eredità! È chiaro che, dietro questi tratti paradossali del racconto, si profila la vicenda finale e tragica di Gesù, il Figlio, cacciato fuori dalla vigna, considerato dal Sinedrio un blasfemo, e ucciso sulla croce, fuori dalle mura della Città Santa. Ma proprio in questo apparente fallimento, Dio compie il suo disegno, che si allarga oltre i confini d'Israele e abbraccia tutti i popoli, chiamati ad entrare nel Regno, a sedere a banchetto con i giusti e i padri d'Israele: Matteo, riprendendo un passaggio del Salmo 118, utilizzato nella catechesi primitiva per leggere l'evento della Pasqua, annuncia il grande rovesciamento che si realizza in Cristo, la pietra scartata dai costruttori, dai capi del popolo, divenuta pietra angolare nella potenza della risurrezione, pietra su cui si edifica una nuova comunità. Questa vicenda drammatica e luminosa che, nella parabola, è adombrata, quasi a prefigurare il racconto della passione del Signore, è riproposta dall'evangelista, come provocazione attuale e viva per i credenti, per i discepoli di Cristo, e così chiede d'essere letta e accolta da noi, non tanto come un giudizio su Israele, ma come un avvertimento, un richiamo per noi. Perché può succedere anche nel tempo della Chiesa che non siano riconosciuti i profeti che Dio manda, che in vari modi siano silenziati e messi ai margini, resi irrilevanti per la comunità; e il dramma del figlio rifiutato e ucciso si rinnova nella storia, non solo nelle persecuzioni e nelle opposizioni violente che incontrano i suoi testimoni, ma anche dentro la vita di quei credenti che, di fatto, lo mettono ai margini, non lo riconoscono come la vera pietra d'angolo, su cui costruire l'edificio dell'esistenza delle persone e della comunità. Ma soprattutto la parabola dei vignaioli ci consegna un'immagine reale di Dio e della sua opera, che è sorgente d'inesauribile speranza, perché è un Dio appassionato della sua vigna, del suo popolo, che non si stanca d'inviare i suoi servi, è un Dio che giunge al dono di ciò che gli è più caro, il suo figlio, è un Dio che, quando tutto sembra perduto e finito, immette una potenza di vita nuova, di risurrezione, e ciò che era stato scartato e messo sotto terra, diviene il fondamento di una nuova costruzione. È il paradosso della Pasqua, che in tanti modi, si fa presente nella nostra vita, nelle prove della Chiesa: quando tutto sembra senza speranza, quando l'orizzonte è oscuro e greve, ecco che la forza di una Presenza si fa strada, e l'avvenimento di una risurrezione inattesa torna a sorprendere il cuore.

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