La parola
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30a domenica del Tempo Ordinario - anno A, Matteo 22, 34-40

Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso

Anche il breve passo di Matteo, proposto al nostro ascolto, si colloca sullo sfondo del confronto acceso tra Gesù e gruppi distinti del giudaismo del tempo: dopo i sommi sacerdoti, e i sadducei, sono ora di scena i farisei, rappresentati da uno scriba, un dottore della legge, che mette alla prova Gesù. Come noto, la domanda rivolta al Signore aveva una sua pertinenza: 'Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?'; infatti, nella tradizione giudaica si codificheranno ben 613 precetti (365 negativi e 248 positivi), considerati applicazione e specificazione della Torah mosaica.

Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso

Anche il breve passo di Matteo, proposto al nostro ascolto, si colloca sullo sfondo del confronto acceso tra Gesù e gruppi distinti del giudaismo del tempo: dopo i sommi sacerdoti, e i sadducei, sono ora di scena i farisei, rappresentati da uno scriba, un dottore della legge, che mette alla prova Gesù. Come noto, la domanda rivolta al Signore aveva una sua pertinenza: 'Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?'; infatti, nella tradizione giudaica si codificheranno ben 613 precetti (365 negativi e 248 positivi), considerati applicazione e specificazione della Torah mosaica. Poteva dunque avere un senso l'interrogativo posto a Gesù, circa il comandamento grande, cioè, il comandamento cardine e cuore di tutta la legge, donata da Dio ad Israele; in fondo, l'esigenza di ricondurre ad unità l'esperienza morale dell'uomo è un elemento strutturale della sua storia, che ritorna in diverse forme. Siamo noi, uomini figli della modernità, che talvolta sembriamo non avvertire più una tale domanda, accontentandoci di frantumare il vissuto morale ed, eventualmente, religioso, in una serie di frammenti sparsi, senza più riconoscere un criterio di fondo, un orientamento radicale, che dona intensità e compattezza alla nostra esistenza. Da questo punto di vista, la questione dello scriba supera il quadro del sistema giudaico, e dà voce ad un'esigenza profondamente umana e vera: scoprire dove sta il cuore della vita, intesa come cammino morale, con un significato, con una responsabilità, con uno scopo ideale. Così la riposta di Gesù, pur muovendosi nell'orizzonte d'Israele, racchiude qualcosa di decisivo anche per noi, che ora leggiamo questa pagina di vangelo: in effetti, Cristo risponde citando innanzitutto la seconda parte di Dt 6,4-5, il famoso Shemà, dove il comando primo per Israele, insieme all'ascolto e alla confessione dell'unico Dio - 'Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo' - è amare il Dio vivente con la totalità del suo essere; quindi aggiunge la ripresa di Lv 19,18, per mettere in luce il secondo comandamento simile al primo, cioè l'amore al prossimo come a se stessi. Certo impressiona questa forte sottolineatura del primato di Dio, tanto che nel testo di Matteo siamo di fronte al grande e primo comandamento, che ha in vista una relazione totalizzante con Dio stesso: amarlo con tutto il cuore, radice sintetica e affettiva della persona, con tutta l'anima, cioè con tutta la vita, con tutte le energie vitali, e con tutta la mente, termine che non si ritrova nel testo del Deuteronomio e che indica la dimensione del pensiero, che presiede alle disposizioni della volontà. Evidentemente l'amore - agápe che è in questione, può essere termine di un comando, perché va oltre un impeto spontaneo del sentimento, ma si rivela nella sua qualità di orientamento libero e totale dell'uomo, toccato e illuminato dall'amore preveniente e precedente di Dio; non dimentichiamo che il comandamento dato ad Israele è dentro il dono di un'alleanza e di un'elezione gratuita da parte del Signore. Noi amiamo e possiamo volgerci nella libertà dell'amore perché siamo amati e raggiunti dalla carità del Padre, che diviene definitiva nel volto stesso di Gesù. Il cuore di un'esistenza morale, tesa al proprio compimento, sta qui, nella grazia di un tale amore, che rivelato e donato a noi, nel Dio fatto prossimo in Cristo, provoca e rende possibile un'affezione intensa e piena al Dio vivente: finché non perveniamo a questa esperienza di una carità ricevuta e corrisposta, non entriamo nel cuore della Legge, rischiamo di viverla come un pesante fardello di precetti e norme, una gabbia che impedisce di vivere. A partire da questo primato, riconosciuto e vissuto, della relazione filiale e amicale con il Padre, prende forma il secondo comandamento, simile al primo, perché ha la stessa radice di gratuità: si può amare il prossimo come se stessi, proprio perché Dio ha mostrato e mostra dentro una storia di salvezza il suo appassionato amore per ogni uomo, e nella carne del suo Figlio, divenuto uno di noi, il Padre si è fatto prossimo a noi, fino al culmine, fino a Gesù che identificherà se stesso con la presenza dei fratelli più piccoli e bisognosi di cure (Mt 25,31-46).

Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso
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