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Nelle RSA con il cuore in mano

Anziani e pandemia: un geriatra racconta come si vive in una residenza protetta al tempo del Covid

La Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici (di cui anche Il Cittadino fa parte) ha ricevuto dalla Conferenza Episcopale Italiana l’incarico, insieme a Corallo, di sviluppare l’iniziativa “La memoria della Chiesa italiana nel tempo del Covid-19”: un percorso di valorizzazione di storie vissute dalle e nelle Chiese locali in questo tempo di pandemia.
L’intento è quello di non disperdere il patrimonio di storie ed esperienze maturate in questi mesi difficili.
Anche Il Cittadino, come molti altri settimanali cattolici d’Italia, partecipa a questo progetto.
Di seguito, come primo contributo, la testimonianza del Dott. Federico Barà, Direttore Sanitario di una RSA, che racconta come si è vissuto in quei mesi terribili e come si vive ancora oggi.

Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sull’esperienza della pandemia vissuta all’interno delle RSA. Penso che non sarebbe sufficiente un trattato per provare a spiegare, a capire e a far capire fino in fondo quello che è successo nella sua complessità.
Forse da un Direttore Sanitario ci si aspetterebbero argomentazioni scientifiche, dati e numeri; forse dovrei parlare di aspettativa di vita, di quella che è l’età media e la comorbidità degli anziani che vivono nelle RSA, dell’enorme impatto negativo che ha l’ospedalizzazione sulla loro fragilità; forse dovrei scrivere un articolo all’altezza di un medico specialista che dirige una Struttura sanitaria, usare parole diverse da quelle che sto per scrivere. Ho pensato invece di limitarmi a condividere alcune riflessioni, che possano provare a dare l’idea di ciò che, ormai da diversi mesi, vivono gli operatori socio-sanitari e gli ospiti delle Srutture, e di farlo con il cuore in mano: un cuore sanguinante…

È il cuore sanguinante di un qualsiasi operatore socio-sanitario che faccia il proprio lavoro con passione e dedizione (provate a dargli il volto, il nome ed il ruolo che volete: medico, infermiere, OSS, fisioterapista, cuoco, animatori…) che nell’esercizio della propria professione diventa anche un pò familiare degli ospiti di cui si prende cura e che, da marzo, ha visto “andar via” in troppi.
Il cuore sanguinante di chi vive un dramma che spesso non viene capito dall’esterno e continua ad essere descritto e tinteggiato, ancora oggi, da una prospettiva totalmente distorta.
Il cuore sanguinante di chi, ri-adattando o re-inventando le proprie competenze, fa di tutto per tenere insieme due principi divergenti e contrastanti, due forze centripete che tirano con violenza in due direzioni totalmente opposte: tutto ciò che viene messo in atto, con il massimo degli sforzi e delle attenzioni possibili, per contrastare questo virus (che per gli anziani si è rivelato essere ed è fortemente letale)… tutto questo è, allo stesso tempo, quanto di più disumanizzante possa esistere per coloro che cercano un luogo dove trascorrere gli anni della fragilità nella maniera più serena possibile. Perché le RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) non sono degli ospedali, ma dei luoghi di vita e di cura, dove si cerca di tenere insieme gli aspetti clinici e quelli socializzanti.

Il cuore di noi operatori sanguina perché non siamo pronti ad una seconda ondata: oggi ci sono tutti i presidi del caso, linee guida precise, maggiori strumenti a disposizione; ma c’è anche tutta la fatica schiacciante di misure che con la loro asetticità, all’interno delle Strutture, stanno logorando chi vi lavora e gli ospiti, che da marzo vivono come nessuno di noi è costretto a vivere nelle proprie case. Immaginate di essere svegliati tutti i giorni da gente schermata di tutto punto, di sentirvi toccati solo da guanti, circondati da mascherine... sempre. Di vedere fortemente limitate tutte quelle attività: animazione, cura della persona (“banalmente” parrucchiere), visite dei parenti, momenti di socializzazione con gli altri ospiti che, spesso, sono le poche possibilità che avete di sentirvi ancora vivi. Immaginate di vivere in un posto dove deve essere ristretta addirittura la possibilità di fare due passi liberamente, o di cambiare posto a tavola (qualora ne aveste voglia), di tornare a stare con la compagna di camera di sempre…nel tentativo di mantenere sotto controllo e tracciare i “contatti” di ciascuno. Immaginate di provare a vivere così: non per quattordici giorni, o un mese, ma già da sette mesi e chissà per quanto ancora. Immaginate e di provare a spiegarlo e farlo capire a persone che, molto spesso, per le frequenti patologie anche degenerative che le affliggono, non riescono a comprendere fino in fondo.
Il lockdown nelle nostre Strutture non è mai terminato! Continua ad essere inevitabile e necessario, continua ad avere pesanti conseguenze psicologiche ed economiche su ospiti, operatori e Direzioni e, nonostante tutto, non sarà mai sufficiente a garantire sicurezza al cento per cento di fronte a questo virus.

Il cuore sanguinante e turbato di un operatore sanitario oggi sente tutto questo sul lavoro, in aggiunta alle paure e alle tensioni dei comuni cittadini fuori dal lavoro e, come se non bastasse, avverte anche l’insopportabile clima di caccia alle streghe che continua a dipingere l’anello fragile delle nostre Residenze a tinte scure, come se nella fragilità vi fosse una colpa. Altra causa di questo cuore sanguinante è proprio l’incomprensione che, a folate a volte violente, si sente soffiare dall’esterno: quell’incomprensione che spinge gli operatori sanitari e gli ospiti ad un’alleanza fino allo stremo delle forze; nella speranza che qualcuno, da fuori, possa capire che non ci sono eroi né criminali, ma solo uomini e donne che non si tirano indietro e che non possono fare altro che esserci, nonostante il cuore sanguinante.
*Geriatra
Direttore Sanitario RSA
in Liguria

Fonte: Il Cittadino
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