La parola

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Il commento alla seconda lettura della Liturgia della Parola

Due settimane fa abbiamo letto la versione di Marco dello stesso discorso, che ora ci viene riproposto all'inizio dell'Avvento, del nuovo anno liturgico in cui saremo accompagnati dalle pagine dell'evangelista Luca. Abbiamo già visto come si tratti di un discorso importante sulle 'cose ultime' (escatologia), cioè sulle realtà definitive, che non passano, fondamentali per capire e vivere bene la nostra vita di credenti.

Se la massima autorità del popolo di Israele avesse potuto condannare Gesù alla pena capitale, non avremmo mai avuto nel Vangelo questo brano, riportato dall'evangelista Giovanni, con il quale si chiude il nostro anno liturgico. La festa di Cristo Re, come ogni anno, ripropone dunque alla nostra attenzione e devozione la meditazione su questo incontro tra Gesù e la massima autorità del potere civile del tempo, il Prefetto della Giudea Ponzio Pilato (non procuratore, come detto dallo storico Flavio Giuseppe).

Nella penultima domenica del Tempo Ordinario giungiamo al capitolo tredicesimo della nostra lettura continua del vangelo di Marco, l'ultimo capitolo prima dei racconti di Passione e Risurrezione con i quali l'evangelista chiude il suo Evangelo. Questo capitolo è conosciuto come il discorso escatologico (sulle ultime cose) di Gesù, in privato. Si tratta di un insegnamento ufficiale di Gesù, che si siede come un maestro sul Monte degli Ulivi, e di fronte al Tempio risponde alla domanda di un piccolo cerchio di discepoli, i quattro apostoli della prima ora, i primi chiamati.

Nella penultima domenica del Tempo Ordinario giungiamo al capitolo tredicesimo della nostra lettura continua del vangelo di Marco, l'ultimo capitolo prima dei racconti di Passione e Risurrezione con i quali l'evangelista chiude il suo Evangelo. Questo capitolo è conosciuto come il discorso escatologico (sulle ultime cose) di Gesù, in privato. Si tratta di un insegnamento ufficiale di Gesù, che si siede come un maestro sul Monte degli Ulivi, e di fronte al Tempio risponde alla domanda di un piccolo cerchio di discepoli, i quattro apostoli della prima ora, i primi chiamati.

Gesù ha terminato le discussioni pubbliche con coloro che detengono il potere a Gerusalemme, la capitale, in modo particolare nel cuore della città santa, il recinto sacro del Tempio. Vi era entrato all'inizio del capitolo undicesimo, e con il brano di oggi vi uscirà definitivamente. Segue infatti nel Vangelo di Marco solo più il discorso privato per i suoi, sul monte degli Ulivi, che leggeremo la settimana prossima (cap. 13), e poi Gesù si consegnerà al silenzio per l'estrema testimonianza di amore e dono di sé, con la passione, morte e risurrezione (dal capitolo 14).

Gesù è entrato nella città santa, sta avviandosi al termine della sua vita terrena, sta completando l'opera, raggiungendo il fine della sua venuta e del suo operato in mezzo a noi, come uomo. Accolto da una inaffidabile folla come Re Messia, nella famosa scena con parecchi particolari che facevano ricordare il Re Davide, Egli affronta però ben presto ciò che lo attende. L'incontro-scontro con chi detiene il potere cultuale e politico è dietro l'angolo.

Siamo alla fine della sezione del Vangelo di Marco che precede la salita di Gesù a Gerusalemme. Con l'inizio del capitolo undicesimo, infatti, assisteremo all'entrata trionfale del Messia Gesù nella città santa, accolto trionfalmente. Gesù per tre volte ha predetto la sua sorte in quella città, e la reazione dei suoi è stata di scandalo (Pietro) o richiesta di onorificenze speciali (i figli di Zebedeo). Ecco perché, appena oltrepassata la città di Gerico, appena Gesù si avvia verso la salita alla città santa, l'evangelista Marco racconta di un incontro particolare.

Marco ci presenta un tale, anonimo, che corre incontro a Gesù che passa lungo la via. Si tratta di una situazione ideale, generica, che si adatta bene ad ogni attualizzazione e concretizzazione. Gesù passa sempre, e in quel tale si potrebbero identificare tanti cristiani, fedeli per una vita intera, credenti che si accorgono che la vita che stanno conducendo non basta. Persone che come il tale di questo capitolo dieci dell'evangelista Marco sono oneste, e hanno osservato i comandamenti fin dall'infanzia.

La domanda a Gesù dei membri della setta dei 'Separati' (Farisei) è apparentemente una questione tipica interna dei maestri rabbini di Israele, che ammettevano comunemente il divorzio ma discutevano animatamente sulle cause e le motivazioni, che per alcuni dovevano essere molto gravi (esplicita infedeltà coniugale accertata) mentre per altri si potevano ricondurre ad una qualsiasi perdita o calo di amore (in ebraico: non trovare più grazia agli occhi di qualcuno).

La settimana scorsa Gesù parlava di accogliere un bambino (ossia i piccoli della comunità) 'nel suo nome', ossia con la sua persona, con il suo atteggiamento e la sua forza. E' questa parola che fa da aggancio per l'intervento apparentemente fuori luogo di Giovanni, che per la prima volta nel Vangelo di Marco si rende portavoce degli altri apostoli. Lo zelante (che in lingua originale è identico a 'geloso') figlio di Zebedeo ricorda a Gesù un episodio, vissuto probabilmente quando Gesù li aveva mandati a due a due in missione, a cacciare gli spiriti del male.