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Un libro che aiuta a sperare

La resilienza non è più solo la capacità individuale di rispondere a sollecitazioni critiche, ma anche quella di far risorgere gli altri

 Un libro che aiuta a sperare

“Probabilmente è la prima volta che si scrive che il beato Puglisi è stato ‘facilitatore di resilienza’ in una terra con forti condizionamenti criminali”.
Uno psicoterapeuta, Sergio Astori, affronta nel suo recente “Resilienza” (San Paolo, 133 pagine) uno dei termini più in voga degli ultimi anni. “Resilienza” è una parola buona per tutti i campi, ad esempio per le corde delle racchette nel tennis, ad indicare la loro capacità di tornare nello stato precedente prima dell’impatto con la palla, o, in biologia, la capacità di un tessuto di ripararsi dopo un danno. E, in psicologia, per usare le parole di Astori, “l’abilità di un individuo di superare in modo efficace le situazioni avverse, di risollevarsi dopo una crisi, di rinascere dopo un trauma”.
Un po’ per l’idea di “ritorno” insita nel fenomeno, un po’ per la capacità dell’autore di toccare corde giuste, questo libro lascia nel lettore un non so che di speranza, di ottimismo e di coraggio verso il futuro. Perché, dice lo psicoterapeuta, è normale attraversare momenti di crisi, di sconforto, anzi, talvolta, in caso di guerre o di carestie, non si tratta di crisette, ma di lotta per sopravvivere. Ed infatti un altro dei pregi di “Resilienza” è di presentarci testimonianze dirette di esodi biblici, di vendita di bambini, di violenze di ogni tipo, di perdita di genitori e di figli, di massacri, che rimettono in discussione il nostro concetto di crisi. Anche quando Astori passa a parlare di don Puglisi, ucciso dalla camorra, si respira un’aria diversa: la resilienza non è più solo la capacità individuale di rispondere a sollecitazioni critiche, ma anche quella di far risorgere gli altri, indicando loro la strada della speranza dopo il diluvio, della pace dopo la violenza, e, quello che più conta, testimoniando di persona che quella è l’unica vera strada da percorrere. Anche perché, come giustamente nota l’autore, resilienza è “capacità di misurarsi con la rottura dell’integrità di una vicenda e di un percorso, accettando di guardare alla propria ferita”.
Rinascere dalle proprie ceneri non è un’immagine retorica: significa comprendere la propria unicità proprio nel momento in cui tutto sembra concorrere a dimostrare la sua inutilità, resistere e reagire quando la battaglia sembra ormai perduta.
Una parola amica, un aiuto, un buon esempio, una lettura inaspettata, la preghiera, la capacità di prendere decisioni anche scomode, sono tutti mezzi in grado di iniziare un percorso di guarigione e di liberazione da ciò che fino ad un attimo prima sembrava l’unica, nefasta dimensione dell’esistenza. I miracoli sono dietro l’angolo, solo che spesso siamo distratti.

Fonte: Sir
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