La parola
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Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria

XIV Domenica del Tempo Ordinario (8 luglio 2018)

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.

Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.

Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando.

La parola illuminante di Dio è assicurata al suo popolo, ma con la mediazione dell’uomo, del profeta a ciò espressamente deputato da Dio stesso.

Il profeta, l’apostolo, personalmente, rimane sempre fragile, talché meglio risalta la potenza divina che agisce in lui.

Il popolo non sempre ascolta, tuttavia la presenza del profeta è importante, affinché chi è ben disposto ne possa usufruire.

Tale è pure l'esperienza di Cristo, proprio nel suo paese. 

Dal villaggio di Giairo (probabilmente Cafarnao o un paese vicino), del quale ha risuscitato la figlia dodicen¬ne, Gesù risale le colline della Galilea sino a Nazareth, che l’Evangelista denomina “sua patria” (nonostante sappia sia nato a Betlehem) perché Maria e Giuseppe sono di Nazareth e soprattutto perché qui egli ha vissuto sino al momento in cui ha iniziato la sua predicazione peregrinante.

Il particolare dei “discepoli che lo seguono” come rabbì, ormai eccezionalmente apprezzato, mette in luce sia l’importanza della sequela sia, per contrasto, il ripudio proprio dei conterranei.

E’ sabato, giorno festivo da santificare con il riposo assoluto é la partecipazione alla riunione di lettura e meditazione della Bibbia, nella sinagoga. Gesù, da buon ebreo, certamente partecipa ogni sabato. Ma questa volta – ovviamente, secondo la consuetudine, su invito del responsabile della sinagoga, l’arcisinagogo, al quale spetta la direzione dell'assemblea – prende la parola ed “insegna”, cioè non si limita, come altri sono soliti fare, a proporre delle riflessioni o esortazioni, ma si pronuncia con autorità, tanto che molti “ascoltandolo, rimangono stupiti”. Infatti dimostra di fruire d’una sapienza che soltanto un rabbi, che abbia frequentato una apposita scuola può avere, mentre Gesù, lo sanno bene, non si è mai allontanato da Nazareth in tutta l’adolescenza e la giovinezza; come Giuseppe, ha fatto soltanto il “carpentiere” artigiano (fabbro-ferraio-falegname-muratore). Si meravigliano della sua sapienza straordinaria ed anche dei “prodigi, compiuti dalle sue mani” nei paesi vicini. Si chiedono: “non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e Simone? E le sue sorelle non stanno tra noi?”. Marco annota che, in base a queste considerazioni, i Nazaretani “si scandalizzano di lui”, restano contrariati, si indispettiscono, si irritano. Solitamente, nell’ambiente contemporaneo, le persone vengono denominate in riferimento al padre e non alla madre: se qui Gesù è detto dall’Evangelista soltanto “figlio di Maria” ciò può significare che Giuseppe all’epoca dei fatti è già morto o anche che voglia richiamare la nascita verginale di Gesù. Per quanto attiene ai “fratelli” e alle “sorelle” di Gesù, occorre ricordare che i vocaboli non significano sempre, necessariamente, consanguineità fraterna in senso stretto, ma un vincolo di parentela (cugini, zii, nipoti, ecc.) o di appartenenza ad una stessa tribù o anche un particolare rapporto di amicizia, di benevolenza; in particolare si sa che Simone e Giuda sono imparentati con Gesù tramite Cleofa, fratello di Giuseppe. Non si conosce il nome della loro madre. La madre di Giacomo e Joses si chiama Maria, ma non è la madre di Gesù. Non si può escludere che Giuseppe, il padre putativo di Gesù, sia morto piuttosto presto, lasciando Maria e Gesù affidati alla parentela, secondo le consuetudini dell’ambiente.  A tutto ciò è da aggiungere che è opinione comune, in questo tempo ancora, che il Messia, quando verrà non si saprà da dove venga né chi sia. Una ragione di più per “scandalizzarsi” se l’insegnamento di Gesù è volto a dimostrare che egli, appunto, è il Messia. Gesù reagisce, servendosi di un proverbio: “un profeta non è di-sprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Il che fa capire che tra gli “scandalizzati” c’erano pure dei parenti, come attesta pure Giovanni (Gv 7,3-5).

La spocchiosa incredulità dei Nazaretani è ostacolo al compimento di miracoli da parte di Gesù, nel senso che manca la disponibilità ad accoglierli. Egli allora si limita a beneficare quei “pochi” che, invece, sono disponibili alla sua azione: i sofferenti. Li guarisce.  La “meraviglia” di Gesù per l’incredulità dei conterranei sottolinea la loro ingiustificabilità: non hanno scusanti. Per questo Gesù si allontana e va “attorno per i villaggi vicini, insegnando” a quanti, privi di orgoglio spirituale, sono disposti ad accogliere il suo messaggio.

Fonte: Il Cittadino
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria
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