La parola
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3a Domenica Tempo Ordinario (anno A), Matteo 25, 31-46

Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri

Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?

La pagina che conclude il discorso escatologico nel vangelo di Matteo, più che una parabola, è una rappresentazione efficace di ciò che avverrà nel giudizio finale, alla venuta gloriosa di Cristo, re e giudice di tutti i popoli: siamo così guidati a contemplare il mistero che celebriamo nell’ultima domenica dell’anno liturgico, consacrata a Cristo, re dell’universo.
Ovviamente il linguaggio regale ha un valore simbolico, perché Cristo è re secondo una modalità assolutamente unica e originale, rispetto a qualsiasi signoria umana: da una parte, la regalità di Gesù non ha niente da spartire con forme di governo arrogante o violento, e il suo potere non è “di questo mondo”, non si attua con la forza e la ricchezza del potere mondano; d’altra parte, Gesù è Signore in modo sovrano, radicale e totale, perché in Lui tutto è stato creato e voluto dal Padre, perché solo Lui ha vinto la morte e ha annullato il dominio del Principe di questo mondo, e perché a Lui solo Dio rimette e affida il giudizio su ogni uomo, giudizio di misericordia e di verità, che conferma in modo definitivo ciò che l’uomo ha deciso di sé, nel tempo della sua esistenza storica. Ora anche l’annuncio del giudizio, che segnerà la fine della storia, è “evangelo” perché è rivelazione che vuole indicare ai credenti che cosa è realmente decisivo nel tempo presente.
In fondo è la preoccupazione che muove l’evangelista Matteo a raccogliere, nella seconda parte dell’ultimo discorso pubblico del Maestro, tre parabole che intendono mostrare come vivere l’attesa del Signore che viene, come non sciupare i giorni della vita: “Il c. 25 contiene tre racconti graduali su che cosa bisogna fare ora in vista del fine: ora bisogna acquistare l’olio (vv. 1-13), che consiste nel raddoppiare il dono d’amore ricevuto (vv. 14-30), amando il Signore nei fratelli più piccoli (vv. 31-46)” (S. Fausti).
In qualche modo, ciò che si realizzerà allora, nella fine, ha il suo inizio ora, nell’istante presente, perché siamo noi che ci apriamo o ci chiudiamo al Signore che viene, nella misura in cui ora lo riconosciamo e lo serviamo nei fratelli più piccoli.
Qui sta la grazia di questa parola che Gesù consegna alla nostra libertà, nel rivelarci in anticipo ciò che è in gioco nell’amore concreto per i fratelli bisognosi per cui possiamo guardare ai “poveri” nei tanti volti che assumono e che incrociano la nostra vita, in una luce nuova, come visita di Cristo che chiede d’essere accolto, ospitato, amato: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Di nuovo ci troviamo di fronte a qualcosa di originale, rispetto all’immagine del giudizio finale di Dio, ben presente non solo nella fede d’Israele, ma anche in altre esperienze religiose, perché qui c’è uno sguardo carico di tenerezza e di passione per il bene dell’uomo concreto, segnato da sofferenze e povertà, insieme al riconoscimento amoroso del Signore, che ha il volto unico e inconfondibile di Gesù: proprio nella narrazione che seguirà della passione e morte di Cristo, potremo riconoscere un re scandaloso per il mondo, un re povero e umiliato, deriso e condannato, percosso e nudo, alla fine crocifisso, un re che, ora vivente nel suo corpo risorto, prolunga la sua passione nei fratelli più piccoli, sofferenti e feriti dalla vita. Pertanto, se è vero che la pagina di Matteo sul giudizio racchiude un appello universale, che tocca ogni uomo, non solo il discepolo di Gesù, ed offre un criterio di azione, oltre ogni distinzione religiosa o ideologica, è altrettanto vero che il testo si rivolge ai lettori credenti, proprio per mettere davanti a noi l’alternativa drammatica tra l’essere benedetti o maledetti, a seconda del nostro amore vissuto per i piccoli e i poveri, con i quali s’identifica il nostro Signore.
Come dimostra la storia della santità, i più grandi testimoni della carità sono stati proprio i santi, uomini e donne innamorati di Cristo, e in Lui, innamorati degli uomini, capaci di una dedizione sconfinata e realmente miracolosa. Sapere che nei piccoli siamo visitati da Cristo, che in loro tocchiamo “la carne sofferente di Cristo” (Papa Francesco), è sorgente inesauribile di un dono commosso e gratuito di sé, tutto desideroso di condividere il grido, spesso silenzioso, dei poveri, degli umili, dei sofferenti.

Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri
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