La parola
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Se perseveriamo, con lui anche regneremo

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (anno C)

Figlio mio, ricòrdati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di Davide, come io annuncio nel mio vangelo, per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore.

Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. 

Questa parola è degna di fede:

Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;

se perseveriamo, con lui anche regneremo;

se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;

se siamo infedeli, lui rimane fedele,

perché non può rinnegare se stesso. 

La fierezza di Paolo viene meno neppure nel momento in cui “porta le catene come un malfattore”. Anzi si sviluppa: è fiero di essere prigioniero a motivo della sua predicazione evangelica, incentrata su Cristo “risuscitato dai morti”.

Come la morte non ha vinto Cristo, così la Parola di Dio non può essere “incatenata”; neppure quando il messaggero della Parola è incatenato. Paolo è fiero e lieto della sua condizione dì perseguitato, perché può offrire qualcosa di più per coloro che sono “eletti” a conseguire la “salvezza”. E l'apostolo è consapevole di non essere lui a portare la salvezza, perché questa si attua soltanto “in Cristo Gesù”.

Alla salvezza che compie inserendosi, incorporandosi a Cristo, consegue “la gloria eterna”, ossia – secondo il linguaggio biblico – la visione di Dio, protratta per l'eternità, a differenza della “gloria” contemplata per qualche attimo da Mosè e dai profeti.

L'Apostolo – il quale sembra pregustare il martirio imminente – ribadisce la convinzione che il cristiano deve riconoscere in ogni momento della sua vita, la presenza di Dio, sino a “perseverare con lui”, “morire con lui”: è la condizione per poter “vivere e regnare” con lui; se Lo si “rinnega” si sarà da Lui rinnegati: se così non facesse, verrebbe meno a se stesso, misconoscerebbe se stesso. L'uomo può essere infedele a Dio e a se stesso. Dio no.  In definitiva è l'uomo che forgia la sua condanna e la impone, per modo di dire, alla fedeltà di Dio.

Fonte: Il Cittadino
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