La parola
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27a domenica del Tempo Ordinario - anno C , Lc 17, 5 – 10

Se aveste fede!

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

C'è una domanda degli apostoli che risuona nel vangelo di questa domenica: "Accresci in noi la fede!". È una domanda semplice e immediata, che manifesta la viva coscienza di un dono che precede ogni iniziativa. Il discepolo di Gesù, oggi come ieri, è innanzitutto un uomo che vive di fede e che realizza un rapporto decisivo con il suo Signore nel libero e gratuito movimento della fede; dietro questa breve parola, si nasconde una realtà profonda, che tende a plasmare e trasformare l'esistenza del credente, perché, nel linguaggio biblico, la fede non è primariamente un'adesione intellettuale, ma una relazione di totale affidamento a Dio, la consegna di sé alla parola e alla promessa del Dio vivente, il Dio che ora si rivela nella persona e nell'opera di Gesù, il Dio che si dona a noi attraverso la sua Parola fatta carne, nell'uomo Gesù di Nazaret. Credere è entrare sempre di più in questo movimento di abbandono e di fiducia incondizionata, e i grandi credenti della Scrittura, da Abramo a Maria, sono uomini e donne che si lasciano afferrare dall'iniziativa sorprendente di Dio, e si lasciano condurre per vie che non coincidono con le vie della saggezza e della sicurezza mondane. Così la fede sorge quale fiore di grazia, sull'estremo limite della libertà, come una corrispondenza al gesto del Signore che si coinvolge con la nostra vita: come non siamo noi ad avere l'iniziativa nell'amore per Dio, in quanto ma è Dio per primo che ha amato noi, (cfr. 1Gv 4,9-10), così noi crediamo in quanto toccati e mossi, nel cuore, dalla grazia dello Spirito, rispondendo e aderendo al Dio affidabile, nel volto luminoso di Gesù. La nostra fede non nasce da noi, "dalla carne e dal sangue", non è il frutto di un nostro ragionamento o la conclusione di un sillogismo logico, ma il riconoscimento stupito e grato di una Presenza che ci viene incontro, che per grazia, per una sovrabbondante bellezza suscita un'attrattiva e muove il cuore alla fiducia, ad un'adesione che investe tutta la persona, a fidarci di una sapienza che va oltre le nostre misure. L'uomo di fede, perciò, pone la consistenza della sua vita nel Signore, trova in lui la roccia su cui costruire, la forza su cui contare, nelle ore della prova, e vive un cammino, che può conoscere tempi di smarrimento o di fatica, in cui impara a dipendere dall'opera e dalla grazia di Dio. La fede può crescere, può aumentare? Certamente sì, ma non secondo una logica quantitativa, né come se la fede potesse diventare un possesso garantito, perché è sempre un incontro ed un intreccio tra la libertà preveniente di Dio e la libertà imperfetta dell'uomo. In questo senso possiamo raccogliere la risposta paradossale di Cristo alla domanda degli apostoli: "Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: Sradicati e vai a piantarti nel mare", ed esso vi obbedirebbe". Il paradosso non sta solo nell'immagine iperbolica e surreale, di un albero, il gelso, che ci obbedisce, ma nel fatto che Gesù parla di una fede minima, "quanto un granello di senape". Ciò che è importante non è una quantità, non è la sicurezza di un bene di grandi dimensioni, ma la qualità di una fede autentica; come a dire: "Non preoccupatevi di misurare o di pesare la vostra fede, voi restate dei poveri uomini in cammino, l'essenziale è che ci sia anche una piccola fede, pari a un granello, ma reale, che si esprima in totale fiducia in Dio". Allora può accadere anche l'impossibile, perché un seme di fede vera è come una fessura un cui entra la potenza del Signore, e dona al discepolo un'autorevolezza nuova, una capacità ed una fecondità che trascendono gli umani limiti. È questa fede umile, che non presume di sé, che si esprime nella domanda e si affida all'opera di un Altro, il segreto dei santi, dei grandi amici di Cristo, e il fondamento della vera autorità nella comunità cristiana: non a caso, nella seconda parte del passo evangelico, gli apostoli, sono chiamati a vivere il loro compito come "servi inutili", che sanno d'essere tutti al servizio dell'unico Signore, e che non avanzano nessuna pretesa, né di fronte a lui, né di fronte ai fratelli. Un servizio così germoglia solo nel terreno di un'esistenza credente, che ogni giorno riparte dall'iniziativa di Dio e chiede di crescere nella semplicità di una fiducia inesauribile.

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