La parola
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4a Domenica di Quaresima (anno C), Luca 15,1-3. 11-32

Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita

In quel tempo, si avvicinavano Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

In quel tempo, si avvicinavano Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla...

Nel vangelo proposto, ascoltiamo il terzo quadro dell'unica parabola, che Luca raccoglie nel capitolo 15 del suo vangelo e che è collocata in una cornice particolare: all'inizio, infatti, si contrappongono due gruppi, da una parte "tutti i pubblicani e i peccatori" che "si avvicinavano" a Gesù "per ascoltarlo", e dall'altra "i farisei e gli scribi" che invece vanno mormorando tra sé, scandalizzati perché il maestro di Nazaret, che è apparentemente uno di loro, un osservante della Legge, "accoglie i peccatori e mangia con loro". In questa scena che fa da sfondo alla "parabola" di Cristo, c'è tutta la novità dirompente del Vangelo: nonostante le forti esigenze, appena richieste da Gesù per essere suoi discepoli (cfr Lc 14,26-27.33), sono proprio gli uomini che vivono nel peccato a farsi vicini a Gesù, in una disposizione di'ascolto che, per Luca, rappresenta l'atteggiamento fondamentale del discepolo, di chi segue Cristo, lasciandosi plasmare dalla sua parola; al contrario, i farisei, uomini zelanti e impegnati nella pratica dei comandamenti, e gli scribi, esperti conoscitori della Scrittura, restano ai margini, incapaci di comprendere un Dio così differente dalle loro immagini di giustizia. Se vogliamo percepire tutta la forza dell'annuncio di Cristo, dobbiamo individuare bene a chi è rivolta la parabola, che si distende in tre scene parallele, quella del pastore e della pecora perduta, quella della donna e della moneta smarrita, quella del padre e dei due figli, in modo diverso, perduti e da lui attesi e cercati: essa è infatti rivolta non tanto ai peccatori, ma a coloro che si credono giusti, e che nella loro autosufficienza, rischiano di restare esclusi dal banchetto del Regno, in quanto, escludendo e condannando i fratelli peccatori, si escludono dall'amore del Padre, e rimangono come chiusi e impenetrabili alla sua tenerezza sconfinata. Nota giustamente un commentatore: "Il c. 15 è rivolto al giusto, perché non resti vuoto il suo posto alla mensa del Padre: deve partecipare alla festa che egli fa per il suo figlio perduto e ritrovato. Questa parabola parla della conversione; ma non del peccatore alla giustizia, bensì del giusto alla misericordia" (S. Fausti). La vera povertà richiesta per diventare discepoli di Cristo è la consapevolezza d'essere peccatori, incapaci di salvarsi da sé, segnati nel profondo dalla nostalgia della casa del Padre, del luogo che custodisce il proprio nome e il proprio bene, ed è l'incontro sorprendente con la misericordia di Dio, nel volto e nel gesto di Gesù, che permette il riconoscimento pieno del peccato, mentre tutto si compie in un abbraccio inatteso. In questa luce, è veramente impressionante la corrispondenza tra il modo d'agire di Cristo e il modo d'agire in particolare del padre, unico protagonista che si confronta con i due atteggiamenti alternativi, rappresentati dai due figli. Gesù, infatti, è tutto proteso ad accogliere i peccatori, e mangia con loro, in una scandalosa comunione di mensa, che esprime vicinanza, immedesimazione, mentre i giusti protestano, sembra loro inconcepibile questo Maestro che si unisce con uomini nel peccato, prima ancora che essi cambino vita. Così il padre attende il figlio minore, che non solo ha perduto i suoi beni, ma sta perdendo se stesso, tanto da non riconoscersi più come figlio, ma come un servo: perciò il padre lo vede, quando il figlio è ancora lontano, e travolgendo ogni misura di giustizia, si commuove, gli corre incontro, gli si getta al collo, lo bacia e gli impedisce di concludere la confessione, con le parole preparate: "Trattami come uno dei tuoi salariati". Come nelle altre due scene, tutto culmina in una nota di gioia, con la festa che il padre prepara per questo figlio perduto e ritrovato, morto e tornato in vita. Al contrario il figlio maggiore, il giusto che non ha mai disobbedito ad alcun comando del padre, ma forse non ha mai assaporato la gioia d'essere figlio e d'abitare nella casa, si scandalizza, come gli scribi e i farisei, e come loro, è invitato a partecipare della gioia del perdono, ad entrare anche lui al banchetto. Vi entrerà? La parabola rimane aperta, a dire che dipende da noi non chiuderci nelle nostre misure di giustizia e lasciarci ferire e commuovere dalla misericordia del Padre, riconoscendo che, in fondo, siamo tutti figli perduti, cercati e ritrovati da un amore che ci precede e ci supera.

Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita
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