La parola
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Corpus Domini, Mc 14, 12-16. 22-26

Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue

Una attenta e proficua lettura del testo evangelico, ha come presupposto lo svuotamento - almeno per un attimo - di tutto ciò che ci sembra già di sapere di esso. Se riusciamo ad affrontare ogni pagina biblica come se fosse la prima volta che la leggiamo, il testo riesce a dirci ogni volta qualche cosa di nuovo. Altrimenti scorriamo velocemente alcune righe che abbiamo sicuramente già letto molte volte, e concludiamo che sappiamo già cos'è l'Eucaristia, e la festa di oggi ha ben poco da dirci di nuovo.

Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue

Una attenta e proficua lettura del testo evangelico, ha come presupposto lo svuotamento - almeno per un attimo - di tutto ciò che ci sembra già di sapere di esso. Se riusciamo ad affrontare ogni pagina biblica come se fosse la prima volta che la leggiamo, il testo riesce a dirci ogni volta qualche cosa di nuovo. Altrimenti scorriamo velocemente alcune righe che abbiamo sicuramente già letto molte volte, e concludiamo che sappiamo già cos'è l'Eucaristia, e la festa di oggi ha ben poco da dirci di nuovo. Prescindendo da tutte le usanze liturgiche e devozionali di questi secoli, processioni, baldacchini, pissidi gigantesche tempestate di pietre preziose e quant'altro, cerchiamo di tornare per un attimo a quel pomeriggio a Gerusalemme in cui Gesù ha inviato i suoi discepoli a preparare la pasqua. Ricordando la fretta e la trepidazione con cui gli avi erano usciti dall'Egitto, di notte, in fuga, l'evangelista Marco sottolinea l'inizio della solenne settimana degli Azzimi, un tempo di 'passaggio' dal vecchio al nuovo lievito, tempo in cui ci si nutre di un 'pane di miseria' per ricordare quella notte di liberazione, (Deuteronomio 16), notte di dolore e di gioia. Gli agnelli che dovevano essere consumati per la Pasqua venivano uccisi dagli addetti del Tempio, e verso sera ogni famiglia si radunava per consumare quel pasto rituale, dove gioia e dolore confluivano a formare un'unica celebrazione del potente intervento di salvezza di Dio nella storia. Anche i pellegrini che si recavano al Tempio di Gerusalemme cercavano un posto dove radunarsi, e gli stessi cittadini mettevano a disposizione alcuni locali, altri preferivano i caravanserragli, una specie di 'locanda del pellegrino', tipica di tutti i luoghi di culto. L'agnello pasquale viene nominato quattro volte in pochi versetti. L'accento però cade sulla preveggenza di Gesù: manda i suoi discepoli a procurarsi l'agnello e preparare per la sera, ed essi trovano tutto come egli aveva previsto. E' un modo per dire che Gesù è conscio di ciò che sta per accadere, non viene sorpreso dagli eventi. Vuole che sia pronto il luogo dove Egli stesso sarà l'agnello sacrificato, e la sua libera scelta è quella di consegnarsi nelle nostre mani, lasciare che le cose facciano il loro corso, senza impedirlo. Il sacrificio perfetto, secondo la normativa dell'Antico Testamento, è quello dove la vittima è consenziente, altrimenti è un atto di violenza gratuita. E Gesù, come Isacco sul monte Moriah (Genesi 22), è fermamente deciso a fare la volontà del Padre, fino in fondo. La cena si svolge in un ambiente poco festoso. Cala su tutti una cappa di tristezza quando Gesù pronuncia le terribili parole: 'uno di voi, che mangia con me, mi consegnerà'. Gesù rivive l'esperienza descritta dal salmista, tradito da un amico intimo, da un confratello nella fede (cf salmo 41), uno di coloro che erano stati scelti per trasmettere a tutti il suo messaggio di amore. Tutti i presenti hanno intinto la mano nel piatto con Gesù (non c'erano forchette e coltelli nel Cenacolo, e tutti mangiavano per terra, con le mani). Tutti sono seduti (o sdraiati) con Gesù a tavola, e tutti infatti si sentono in colpa. E'struggente questo passaggio del Vangelo, e tutti ne veniamo ammoniti: ciascuno di noi può essere il traditore! 'Sono forse io?', si domandano tutti l'un l'altro, sottolineando che non esiste mai certezza assoluta circa la nostra fedeltà a Gesù, o circa la nostra perseveranza nella fede. Chi giudica con durezza un fratello che sbaglia, una sorella che rinnega o vacilla nella fede, è perché non ha ancora sondato l'abisso di fragilità, di povertà e di peccato che si nasconde nel cuore di ognuno. Il non fidarsi troppo di se stessi porta ad un sano 'timor di Dio', cioè ad un giusto rapporto di rispetto e di amore tra il credente e Dio. L'arrogante e il superbo, il ricco della Scrittura, è colui che si appoggia sulle proprie forze, e non sente la fame del cibo che Gesù offre, non prova la sete struggente che Egli stesso manifesterà sulla croce, gridando 'ho sete!' Gesù offre il pane e il calice, vero cibo e vera bevanda, affinché chiunque mangi e beva 'abbia la vita eterna', la vita vera. Il suo corpo è il pane offerto per tutti, il chicco che deve morire nella terra per portare molto frutto, molte spighe di buon grano, come anticipava la parabola del capitolo 4 di Marco, che in questa cena acquista il suo senso pieno. E' pane 'per molti', ossia per tutti, come gli episodi delle due moltiplicazioni dei pani, in territorio di Israele e fuori, dimostrano. Ormai sia Ebrei che pagani possono avvicinarsi e mangiare, non sono più unicamente i sacerdoti che possono mangiare i pani sacri dell'altare, i 'pani della presentazione', lasciati su di un tavolo davanti al Santo dei Santi, bensì il nutrimento offerto da Gesù è ormai veramente per tutti. Egli offre il calice, aggiungendo che è 'sangue dell'Alleanza', quel sangue versato per metà sull'altare, ad indicare la vita stessa di Dio, e per metà asperso sul popolo, per significare la vita divina 'riversata' su tutti i partecipanti al sacro banchetto (cf Esodo 24). Ogni volta che rimaniamo in silenzio davanti all'ostensorio in adorazione eucaristica dovremmo richiamare alla mente e al cuore tutte queste cose, per vedervi non solo tutto il profondo significato impresso da Gesù in questo suo gesto di donazione totale, offerta della sua vita a vantaggio di tutti, bensì invito pressante, comando, aiuto e stimolo efficace a fare altrettanto. L'Eucaristia infatti non è solo mistero da contemplare, è mistero in cui entrare, è pane da masticare, è calice che una volta bevuto immette in noi le stesse dinamiche relazionali dell'Alleanza con Dio: non ci apparteniamo più quando facciamo la comunione, perché scegliamo di ripetere 'io sono tuo e Tu, Signore, sei mio'. Per sempre, perché il gesto presente di mangiare il corpo e bere il sangue di Cristo ci intromette nella dimensione celeste del Regno di Dio, fa scattare in noi una realtà nuova, che troverà il suo compimento solo quando anche noi - dimenticata ogni infedeltà e tradimento - berremo il vino nuovo, seduti a tavola con tutti coloro che hanno mangiato lo stesso pane e bevuto allo stesso calice, nella beatitudine del Regno di Dio.

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