La parola
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2a Domenica di Quaresima (anno B), Marco 9-2-10

Questi è il Figlio mio, l'amato

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.

Siamo nel cuore del racconto di Marco, che segna il passaggio dalla domanda sull’identità di Gesù alla scoperta del mistero profondo del Figlio dell’uomo. All’inizio della missione di Cristo, il Padre aveva rivolto la sua parola a Gesù, nel battesimo al Giordano: “Tu sei il Figlio mio l’amato, in te ho posto il mio compiacimento” (Mc 1,11); ora, dopo il primo annuncio di ciò che avverrà a Gesù, che sarà rifiutato e condannato dai sommi sacerdoti, dagli anziani e dagli scribi, il Padre parla una seconda e ultima volta, rivolto ai discepoli: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” Non a caso ascoltiamo il vangelo della trasfigurazione nella seconda domenica di Quaresima, perché anche noi siamo ai primi passi del cammino che ci porta idealmente a Gerusalemme, che ci dispone a rivivere l’evento della Pasqua di Gesù, e ciò che accade sul monte, sotto lo sguardo stupito e timoroso di Pietro, Giacomo e Giovanni, acquista pienezza di senso proprio alla luce del contesto narrativo di Marco (cfr. Mc 8,27 – 9,10).
L’evangelista, infatti, ci ha posto davanti l’interrogativo radicale che Gesù rivolge ai suoi: “Ma voi chi dite che io sia?”; a questa domanda ha risposto Pietro, con la confessione di fede: “Tu sei il Cristo”. Sì, Gesù è il Messia atteso da Israele, ma si tratta di comprendere che messia è Gesù, come si realizza la sua missione, e il silenzio che Gesù intima a Pietro segnala una comprensione ancora parziale da parte dei discepoli, con la possibilità di equivocare il volto autentico di Cristo.
Ecco perché Gesù, da questo momento, parla di sé come Figlio dell’uomo, destinato ad una morte violenta, suscitando la contrarietà di Pietro, e a tutti coloro che lo vogliono seguire, prospetta una via dura: rinnegare se stessi e prendere la propria croce, dietro a Lui. In fondo, anche noi, talvolta, vorremmo un cristianesimo senza croce, un Regno che si realizzasse, senza passare attraverso una dedizione totale di sé, eppure questa è la strada che il Padre ha indicato al Figlio: l’unica che conduce alla risurrezione, alla pienezza della vita, alla vera gloria, assai diversa dalla gloria del mondo.
Ora l’evento della trasfigurazione si colloca al culmine di questo passaggio centrale del vangelo di Marco, e rappresenta la parola definitiva che Dio pronuncia riguardo a Gesù: l’uomo di Nazaret, che è in cammino verso la morte e la risurrezione, è il suo Figlio amato, è l’unica parola da ascoltare, una parola fatta carne e sangue, una parola che conoscerà la debolezza della croce, fino al mutismo della morte, ma destinata a riprendere vita in Cristo risorto e nell’esistenza nuova dei suoi discepoli, dopo l’ora oscura della passione e dell’infedeltà, della paura e della fuga. Il Padre non parlerà più, nemmeno a Gesù, nella preghiera drammatica nell’orto degli ulivi, o nell’apparente abbandono della croce, perché Dio dice se stesso nel suo Figlio, che vive la sua morte come dono d’amore per noi, fedele fino in fondo al Padre e al Regno, e che, per questa umile e totale fedeltà, risorge, libero dalle angosce della morte.
Alla fine del racconto della trasfigurazione, c’è l’invito diretto del Padre, rivolto ai tre discepoli, rivolto a noi che ora ascoltiamo il vangelo, e davanti agli occhi dei tre testimoni, rimane “Gesù solo”, scompaiono Mosè ed Elia, richiamo alla parola della legge e dei profeti, la figura di Gesù riprende i suoi connotati umani, perché è questo “Gesù solo”, fatto veramente simile a noi, che riprende il suo cammino, ed è lui che siamo chiamati a seguire, ad ascoltare, a guardare nel mistero della sua sofferenza e della sua gloria di Risorto. Ma la trasfigurazione ha anche un altro significato, perché nella visione di gloria che traspare nella carne irradiante luce di Cristo, si annuncia già la luce della risurrezione, e nello stesso tempo s’intravede ciò che noi siamo chiamati a vivere, come discepoli che ascoltano e seguono il Maestro: secondo una legge facilmente verificabile nell’esperienza umana, infatti noi diventiamo ciò che ascoltiamo, noi diventiamo ciò che guardiamo.
Questa è la via della trasfigurazione, inizio della risurrezione a cui tutti siamo chiamati in Cristo crocifisso e risorto: lasciarci incantare e conquistare, come Pietro, dalla bellezza di Gesù, tutte le volte che ci è donato di vivere momenti di luce, nei quali il suo mistero si apre a noi, nell’iniziale “visione” della fede, e ascoltare Lui, il Figlio amato, ascoltare la sua parola che non è solo parola detta, ma è parola incarnata in gesti, fino al gesto supremo della passione, della morte e della risurrezione, parola narrata nel Vangelo, parola fatta vita nel volto dei suoi testimoni, di ieri e di oggi, da Pietro a Papa Francesco.
Così la nostra esistenza di discepoli cammina verso una mèta di gloria e di gioia, che cominciamo ad intravedere e a pregustare nell’umiltà della fede.
Corrado Sanguineti

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