La parola
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1a Domenica d’Avvento (anno A), Matteo 23,37-44

Presero il figlio amato, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

L'anno liturgico si apre con il tempo d'Avvento, caratterizzato da una duplice dimensione: l'attesa della definitiva venuta del Signore e la memoria della sua prima venuta nell'umiltà della carne. Il tempo presente si distende tra questi due "avventi" ed è vissuto intensamente se è un tempo segnato dalla memoria viva di Colui che è già venuto a noi e che viene, e dall'attesa vibrante e viva di Colui che verrà, manifestando pienamente il suo volto. Il passo di Matteo, proposto al nostro ascolto, è tratto dal discorso escatologico di Gesù, l'ultimo annuncio pubblico rivolto ad Israele e ai discepoli, e prospetta "la venuta del Figlio dell'uomo". Matteo utilizza la parola greca "parusía" che nel contesto dell'impero romano era usata per indicare la visita, la venuta dell'imperatore o di un suo messo in una città o in una provincia, e in questo modo l'evangelista fa comprendere ai cristiani del suo tempo che ormai il vero Signore, il vero re non è l'imperatore o il potente di turno, ma è il Figlio dell'uomo, crocifisso, risorto e vivente, che è venuto come Messia umile e povero, rifiutato dai capi del suo popolo, e che verrà, alla fine della storia, nella sua gloria di giudice e di salvatore delle genti. L'Avvento così diviene un richiamo a non lasciarci determinare e condizionare dai vari "signori" di questo mondo, e a ritrovare la libertà della fede, che riconoscendo l'unica signoria di Dio e del suo Inviato, si ritrova affrancata da tante forme di schiavitù e di sudditanza, più o meno nascoste. Inoltre, l'evocazione dei giorni di Noè serve a mettere in luce un rischio che i credenti di ogni tempo possono correre, ed è la facilità ad essere assorbiti e distratti dalla ripetizione di gesti consueti e normali della vita, perdendo la capacità di leggere i segni della venuta del Signore. Gli uomini della generazione di Noè, come noi, "mangiavano, bevevano, prendevano moglie e prendevano marito", seguendo così i bisogni primari dell'esistenza umana, legati all'istinto di conservazione di sé e della specie, e coltivando il mondo degli affetti, ma, avendo come unico orizzonte della vita queste immediate esigenze, "non si accorsero di nulla" e furono travolti dal diluvio. Allo stesso modo, può accadere che, pur avendo conosciuto l'annuncio cristiano, pur avendo la grazia di testimoni che ora fanno trasparire la presenza viva di Cristo, noi ci appiattiamo nell'immediato, nel particolare, ci fermiamo sostanzialmente alla superficie e all'apparenza della realtà, e quando accadono eventi che, nella loro imponenza sembrano tutto annullare (pensiamo in questi giorni al tifone nelle isole Filippine o all'alluvione devastante della Sardegna), rischiamo di essere travolti e prostrati. In questo senso, la venuta del Signore, anche se si compirà in modo definitivo solo nell'ultimo giorno, nell'ora della sua venuta finale, è un avvenimento che si annuncia già nelle circostanze dell'esistenza ed è veramente decisiva la posizione del cuore, perché un cuore che attende, che tende al suo Signore, che vive nel desiderio della manifestazione di Cristo, è un cuore pronto, vigilante, disponibile ad incontrare il suo Signore, ora nella discrezione dei segni e degli eventi che accadono, e nell'ultimo giorno nella piena chiarezza della sua rivelazione. Ecco perché il vangelo di oggi si chiude con questo forte invito alla vigilanza: "Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà". Questo giorno non è soltanto l'ultimo della storia umana, ma è come anticipato per ciascun uomo nella sua morte, nel momento in cui per ognuno di noi finisce questo mondo e si apre il regno dell'eternità. C'è dunque una prontezza da vivere nel presente, perché il Signore è alle porte e bussa alla porta della nostra libertà: "Perciò anche voi tenetevi pronti, perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo". La fede è questo riconoscimento commosso e vigilante di Cristo presente che viene ed è qui che si compie il giudizio, e si realizza la diversa sorte tra gli uomini: "uno verrà portato via e l'altro lasciato". Ciò che conta non è la quotidianità semplice dei gesti (essere nel campo, o macinare alla mola), ma è il cuore che nell'istante può vegliare o dormire, e l'Avvento torna ogni anno per educarci ad essere svegli e tesi alla venuta di Cristo.

Presero il figlio amato, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna
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