La parola
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I domenica di Avvento, Lc 21,25-28.34-36

La vostra liberazione è vicina

C on questa domenica entriamo nel tempo d'Avvento, che si offre come tempo forte, in preparazione alla solennità del Natale del Signore: in fondo, in ogni periodo liturgico, la Chiesa mette in rilievo, volta per volte, le dimensioni essenziali e normali della vita cristiana. Quindi, ciò che la parola di Dio ci richiama a vivere, in queste settimane, non vale solo per i brevi giorni che ci separano dal Natale, ma indica una realtà permanente dell'esistenza.

C on questa domenica entriamo nel tempo d'Avvento, che si offre come tempo forte, in preparazione alla solennità del Natale del Signore: in fondo, in ogni periodo liturgico, la Chiesa mette in rilievo, volta per volte, le dimensioni essenziali e normali della vita cristiana. Quindi, ciò che la parola di Dio ci richiama a vivere, in queste settimane, non vale solo per i brevi giorni che ci separano dal Natale, ma indica una realtà permanente dell'esistenza. In particolare, l'Avvento ci conduce a riscoprire l'attesa come dato strutturale della fede cristiana, l'attesa del Signore che è già venuto, nell'umiltà della nostra carne, che viene, nella semplicità dei nostri giorni, e che verrà nella manifestazione della sua gloria. Attendere significa 'tendere a', vivere una tensione viva verso qualcosa, meglio, verso qualcuno, e il cuore dell'uomo, più o meno coscientemente, attende, si protende verso un compimento che ancora non ha, verso una bellezza ed una felicità, desiderate e intraviste, in certe esperienze cariche di senso e di fascino (un'amicizia vera, un affetto che sembra riempire il cuore, il dono sempre stupefacente di un figlio, la contemplazione della bellezza nella natura o nell'arte, nella musica, la gratuità di certi rapporti che ci raggiungono nell'ora del bisogno, la luce e la pace che percepiamo in un tempo di preghiera). L'uomo è attesa, per natura, per vocazione orinarla che Dio ha inscritto nel suo cuore, e nelle settimane d'Avvento l'attesa assume varie forme: è l'attesa di un salvatore, di un messia, di un 'germoglio giusto' (Ger 33,15), espressa dai profeti nel cammino d'Israele, è l'attesa di Gesù ormai annunciato, nella figura di Maria e di Giovanni Battista, è l'attesa della comunità credente, che, secondo la promessa del Signore, vive la storia, sapendo che tutto avrà una fine, un compimento, nel giorno ultimo, quando 'vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria'. Il vangelo che ascoltiamo nella prima domenica d'Avvento ci riporta due tratti del discorso escatologico di Gesù, dove sono annunciate le realtà ultime della vita e della storia, e con un linguaggio forse un po' lontano dalla nostra sensibilità, ci viene ricordato che l'avvicinarsi della fine sarà segnato da sconvolgimenti e segni, nella terra e nel cielo, ma soprattutto che il mistero del Signore, che viene, è già all'opera, dentro tutte le fatiche, le contraddizioni e i travagli della storia. Proprio perché abbiamo già incontrato Cristo, nella vivente esperienza della Chiesa e della fede, noi attendiamo la sua venuta definitiva, noi siamo tutti tesi a preparare il cuore per l'evento dell'ultimo incontro, e a riconoscere i segni di questa Presenza che già ora si fa strada nelle circostanze liete o drammatiche, limpide o oscure, che ci accompagnano. L'evangelista Luca esprime l'attesa dei discepoli, con due atteggiamenti, legati profondamente tra di loro: vegliare e pregare. Sono le stesse parole che ritorneranno nell'orto degli ulivi, quando Gesù inviterà i suoi amici a vegliare e a pregare per non entrare nella tentazione: vegliare significa tenere il cuore desto, nella memoria e nell'attesa del Signore, non permettere che il cuore si appesantisca 'in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita'. È un'immagine molto realistica dell'esistenza dell'uomo, quando vive solo di fronte a se stesso, quando è portato a dimenticare il non-senso del quotidiano nella ricerca frenetica del piacere, nelle sue mille forme, quando rischia di lasciarsi soffocare dalle preoccupazioni, dalle ansie, dai problemi di cui è intessuta la vita. Positivamente vegliare significa riscoprire una Presenza più grande, per cui viviamo, amiamo, soffriamo, lavoriamo, una Presenza che non è ancora svelata in pienezza, e perciò noi attendiamo, tendiamo a Cristo. La forma più semplice e più concreta in cui vivere l'attesa di Gesù è proprio la preghiera: 'Vegliate in ogni momento pregando'; la preghiera intesa sia come gesto e tempo particolare, come atto proprio, in cui cessiamo dalle nostre occupazioni per dialogare con il Signore e stare con Lui, sia come stato che può diventare continuo, cioè come memoria di Gesù come percezione d'essere alla presenza di un Altro che ci fa. L'Avvento che inizia ci è dato per ritrovare la verità della nostra attesa e della nostra preghiera.Corrado Sanguineti

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