La parola
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15a Domenica Tempo ordinario (anno A), Matteo 13,1-23

Il seminatore uscì a seminare

"Ecco, il seminatore uscì a seminare": così si apre la prima delle sette parabole che Matteo raccoglie nel terzo discorso del suo vangelo, e che vogliono manifestare il mistero del Regno presente nella nostra storia. C'è un aspetto fondamentale che ritroviamo in queste parabole, ed è il contrasto tra gli inizi del Regno, pieni di contraddizioni e di fallimenti, e la fecondità comunque invincibile della sua presenza nella vita degli uomini. In fondo è come se Gesù leggesse in profondità la crisi che lui stesso sta conoscendo, nel rifiuto d'Israele, che avrà il suo culmine nella croce e ci offrisse una luce per discernere il tempo presente, nel quale il Regno è già all'opera, ma in modo ancora nascosto e nel quale il disegno del Padre si va compiendo, attraverso la fatica della semina: siamo sempre di fronte ad un lieto annuncio, perché il seme trova spazi di terra buona dove può portare frutto. Nella parabola, Cristo, allude ad una realtà più profonda, che si sta realizzando nella nostra esistenza, segnata dal dono della Parola, una Parola viva che risuona sulle labbra di Gesù e dei suoi testimoni, una Parola che s'identifica con lui stesso: Cristo, infatti, è nello stesso tempo il seminatore che semina con larghezza, ed è il seme del Regno presente, destinato ad una fecondità inesauribile. Sembra che nella Palestina del primo secolo, la semina venisse fatta prima di arare il campo, con generosità, seminando anche su sentieri, che successivamente sarebbero stati arati, su terreni poco profondi e perfino su rovi, che sarebbero poi stati rimossi. Un seminatore saggio non si preoccupa di "perdere" il seme, cercando di coprire tutta l'area del suo campo, senza troppi controlli e calcoli: così fa Gesù che semina ovunque, che non si limita a terreni scelti, che di fatto, nella sua predicazione, non scarta nessuno, scandalizzando i giusti e i benpensanti. In questo senso la parabola del seminatore rappresenta la sorte della Parola nel cuore di ciascuno di noi e, mentre i diversi terreni hanno una loro fissità, gli uomini che vengono a contatto con l'annuncio di Cristo, possono modificare l'atteggiamento del cuore o possono conoscere differenti livelli di ascolto, illustrati nella spiegazione della parabola: "L'ascoltatore è identificato non con la strada - o i sassi e i rovi - ma direttamente con il seme, e, indirettamente, con la sua accoglienza di esso. L'uomo infatti si identifica con la Parola che ascolta, non con le difficoltà che oppone. Si può dire che uno è l'accoglienza che accorda alla Parola" (S. Fausti). C'è la possibilità che il seme cada sulla strada, e subito sia rubato, senza poter attecchire, ed è ciò che accade tutte le volte che ascoltiamo la Parola del Vangelo, ma non la intendiamo, abbiamo cuori di pietra, incapaci di accogliere e così lasciamo spazio all'azione del Maligno, che vuole privarci della vita vera; accade, talvolta, che prestiamo ascolto a questa Parola viva, la accogliamo con gioia ed entusiasmo, perché ne avvertiamo tutta la bellezza e la corrispondenza al cuore, ma non permettiamo che metta radici in noi, non scendiamo in profondità, in un lavoro di ripresa personale, e così alla prima fatica o difficoltà, veniamo meno e il seme, subito germogliato, muore; a volte, invece, il cammino va più avanti, permettiamo a Cristo e alla sua parola di radicarsi in noi e di iniziare a crescere, dando frutti, ma poi, cedendo alla tentazione della mondanità, lasciamo che le preoccupazioni, le ansie, "la seduzione della ricchezza" crescano in noi come spine, che soffocano la Parola, impedendole di dare frutto. Vi è però sempre la possibilità che, in mezzo a tutte queste contraddizioni e resistenze, ci sia un pezzo di terra buona, nel quale il seme, gettato da Gesù, possa sviluppare tutta la sua fecondità di bene e di gioia: "Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende".
Qui sta l'annuncio carico di speranza per la nostra vita, perché in ogni uomo c'è un cuore originalmente aperto a Dio, c'è una terra "buona, bella" che è fatta per accogliere e abbracciare la Parola vivente di Dio, il suo Figlio divenuto Figlio dell'uomo: sta a noi scegliere che terreno vogliamo essere e se siamo disponibili, pur dentro le resistenze e le connivenze con il male, a lasciare uno spazio di terra buona dove il seme del Regno possa penetrare e fecondare il cuore.

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