La parola
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Matteo 13, 1-23, 15a domenica del Tempo Ordinario - anno A

Il seminatore uscì a seminare

Con questa domenica iniziamo a percorrere il capitolo 13° del vangelo di Matteo, che raccoglie in unico discorso sette parabole del Regno: il lungo passo iniziale propone a noi la parabola del seminatore, con una successiva catechesi di Gesù sul senso delle parabole e la spiegazione ai discepoli della prima di esse, incentrata sulla semina della parola.

Il seminatore uscì a seminare

Con questa domenica iniziamo a percorrere il capitolo 13° del vangelo di Matteo, che raccoglie in unico discorso sette parabole del Regno: il lungo passo iniziale propone a noi la parabola del seminatore, con una successiva catechesi di Gesù sul senso delle parabole e la spiegazione ai discepoli della prima di esse, incentrata sulla semina della parola. Un primo tratto sorprendente è proprio l'apparente 'spreco' di questo seminatore, che getta il seme sulla strada, nel terreno sassoso, dove ci sono rovi e spine, e solo alla fine nella terra buona: di là di ogni tentativo di inquadrare questo comportamento con l'uso semitico di gettare il seme generalmente prima dell'aratura dei campi, resta un elemento inconsueto, paradossale, che vuole suscitare attenzione e interrogativi in chi ascolta. Si intuisce subito che il seme, così abbondantemente gettato, rimanda a un dono gratuito, oltre ogni logica e misura umana, e nell'esegesi del Maestro, è evidente che il seme indica la parola che viene da Dio, la parola del Regno, che risuona nella bocca di Gesù e diviene trasparente attraverso la sua persona. Se ascoltiamo questa pagina di Matteo, nell'orizzonte della Pasqua di Cristo, scopriamo che, in effetti, in seme caduto per terra, per portare un grande frutto, è Gesù stesso, nell'umiliazione della sua morte e sepoltura, chicco di grano, destinato a risorgere e ad immettere nella nostra storia una forza inesauribile di vita e di speranza (cfr. Gv 12,24). La parola nuova che Cristo annuncia, la sua proclamazione dell'estrema vicinanza di Dio e del suo Regno, è paragonata ad un seme, che ha in sé la capacità di crescere e di fruttificare, nonostante la sua estrema piccolezza, un seme che mescolandosi alla terra si confonde in essa, tanto da conoscere un apparente annullamento. L'attenzione della parabola, nella luce della successiva interpretazione, non si rivolge tanto alla potenza paradossale del seme, ma alle differenti condizioni del terreno, per rendere chiaro quanto sia necessaria una sinergia tra il seme della parola e l'uomo che la riceve; in questo senso, nella logica del racconto, i terreni su cui cade il seme, non indicano delle categorie chiuse e immodificabili di persone, ma atteggiamenti del cuore, che naturalmente possono intrecciarsi e modificarsi nel nostro vissuto. Se è pura grazia il dono di Cristo e del suo annuncio, resta aperto uno spazio decisivo alla nostra libertà, nel collocarsi, in modi dissimili, di fronte all'irruzione di questa presenza e di questa parola: alla parola che Dio continua a rivolgere a noi, nel suo Figlio fatto uno di noi e nella forza delle sue parole, corrisponde come unico atteggiamento adeguato l'ascolto docile, accogliente e profondo. In questa prospettiva, i tre terreni che impediscono al seme di crescere e di portare frutto, in forma negativa ci rimandano alle dimensioni vere di un ascolto che diviene comprensione e comunione con la Parola incarnata in Gesù; il seme seminato lungo la strada e immediatamente mangiato dagli uccelli, rubato dal Maligno, ci riporta ad un ascolto superficiale, che non fa penetrare nella terra della nostra vita questa parola, che non sa veramente ospitare la presenza del Dio con noi; il seme che cade su terreni petrosi, è immagine di un ascolto sincero, entusiasta, ma che non mette radici, perché manca di continuità, di perseveranza, per cui alla prima difficoltà, che chiede l'essere fedele a Cristo, il credente viene meno, resta scandalizzato, la sua fede non diviene storia, perché non affronta la prova del tempo e della durata; il seme che cade tra le spine ed è soffocato dai rovi, richiama la necessità di un ascolto attivo, di una lotta del cuore, per non perdere di vista ciò che veramente conta nella vita, per non essere travolti e schiacciati dalla 'preoccupazione del mondo' e dalla 'seduzione delle ricchezze': sono tanti i modi in cui si può sbiadire e soffocare l'attrattiva suscitata dall'incontro con Cristo, dall'evidenza di verità della sua persona e della sua parola. È solo una terra buona, aperta, curata e lavorata, che permette al seme della Parola di sviluppare tutta la sua efficacia e la sua fecondità, e l'essere un tale terreno non è condizione acquisita una volta per tutte, è il lavoro della nostra libertà.

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