La parola
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IV domenica di Quaresima (Anno A), Gv 9,1-41

Il cieco andò, si lavò e tornò che ci vedeva

Il cieco andò, si lavò e tornò che ci vedeva

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita ] e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
(...) Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. ] Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». (...)

Il drammatico racconto della guarigione del cieco nato è il segno che Giovanni offre per mostrare la verità proclamata da Gesù all'inizio: "Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo".
Siamo così rinviati alle parole del prologo, dove l'evangelista riconosce nel Verbo del Padre la luce e la vita, una luce, che viene nel mondo e che illumina ogni uomo, una luce che non è sopraffatta, né è accolta dalle tenebre: anche il racconto del miracolo si muove sullo sfondo del contrasto tra luce e tenebre, tra visione e cecità, un contrasto che attraversa la storia degli uomini e che si ripropone nel cuore di ogni credente.
Nella successione dei quadri che compongono lo svolgersi dell'evento, c'è un dato che balza agli occhi e che certamente vuole indicare qualcosa di decisivo: da una parte, abbiamo la continua rievocazione e descrizione del fatto, del passaggio improvviso e sorprendente dal buio di una cecità totale al dono di poter finalmente vedere, perché gli occhi dell'uomo senza nome si sono aperti ed egli ha potuto recuperare la vista, anzi c'è stato qualcuno, Gesù, che ha aperto gli occhi (cfr. Gv 9,6-7.11.15.17.21.25.30), attraverso un gesto fisico, che sembra alludere ad un'azione sacramentale ("sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco"); d'altra parte, si susseguono e si contrappongono letture ed interpretazioni anche opposte, che nascono da atteggiamenti diversi di fronte allo stesso avvenimento.
Ci sono i vicini, coloro che avevano visto il cieco mendicare, che sono perplessi, e si chiedono se sia davvero lui quello che stava a chiedere l'elemosina; ci sono i farisei, che inizialmente sono divisi, tra chi si scandalizza perché Gesù, plasmando e spalmando del fango, ha fatto un lavoro, ed ha così infranto il sabato, e chi, invece, riconosce un segno che può venire solo da Dio; ci sono i genitori, che mantengono le distanze, non si coinvolgono in un giudizio, non osano rischiare, pur essendo evidente che è accaduto qualcosa, che il loro figlio prima era cieco, ed adesso ci vede; ci sono i Giudei che nel linguaggio del quarto vangelo possono indicare le autorità sacerdotali del tempio, ostili a Gesù, e, in senso più ampio, possono rappresentare un'espressione del "mondo" che si oppone al disegno di Dio, e questi sono tenacemente attaccati ai loro schemi, vedono in Gesù un peccatore che va contro la legge, una presenza scomoda e ignota, che non sanno "di dove sia", e si oppongono duramente all'uomo che ora vede, tanto da cacciarlo fuori; infine, c'è il cieco che contro tutte le contestazioni, si appella alla forza dell'evento, all'esperienza innegabile che lui prima non vedeva, non aveva un rapporto pieno con al realtà, e ora ci vede, e partendo dalla semplicità dell'accaduto, giunge a riconoscere in Gesù il Figlio dell'Uomo e a professare la sua fede: "Credo Signore!".
Così, ripercorrendo le differenti reazioni provocate dal gesto di Cristo, siamo invitati ad entrare anche noi in questo dramma della fede e dell'incredulità, della libertà che si apre o si chiude alla luce, e così comprendiamo, sempre di nuovo, che siamo 'costretti' a prendere posizione davanti a Gesù, davanti all'irrompere gratuito della sua presenza, davanti ai segni che il Signore fa accadere nella nostra esistenza o nella vita di chi ci è donato come testimone.
Far finta di nulla, come in fondo cercano di fare i genitori del cieco, e non osare un giudizio personale è già un modo per chiudere gli occhi alla luce: dal momento che accade un segno, l'uomo è chiamato a vivere l'avventura dell'interpretazione, per comprendere che cosa vi è veramente in gioco.
Nei vari personaggi che si esprimono nei riguardi del gesto compiuto da Gesù, ritroviamo in fondo l'alternativa radicale, che determina l'orientamento del cuore e della vita: o chiudersi alla luce, in nome delle nostre misure e dei nostri preconcetti, giungendo quasi a negare l'evidenza di segni che sono dati e accadono, oppure aprirsi umilmente e semplicemente all'opera di un Altro, compiendo fino alla fine il percorso della fede.
Così impariamo a guardare con stupore il segno, va oltre l'evento ed entriamo in rapporto con Colui che ne è l'origine e il significato, con la viva presenza del Signore, luce vera del mondo, che vince ogni tenebra del della storia.

Il cieco andò, si lavò e tornò che ci vedeva
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