La parola
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II di Quaresima (Anno A), Mt 17, 1-9

Il Suo volto brillò come il sole

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».

La vocazione dell'uomo alla salvezza è dono della longanimità divina.
La risposta da parte dell'uomo, conscio della propria condizione, non può essere che animata dalla fede. Quindi una risposta incondizionata. Consapevole della “forza di Dio” il credente fronteggia ogni situazione, anche di sofferenza e di persecuzione.

Cristo, sofferente egli stesso, in nome e in rappresentanza di tutta l'umanità, manifesta la presenza di Dio, e la realizzazione delle sue promesse per quanti si affidano a lui.

Occorre sottolineare che, nella narrazione dell’evangelista, la “trasfigurazione” di Gesù è preceduta (cfr. 16,12ss) dalla professione di fede messianica di Pietro (“tu sei il Cristo” – in ebraico: “tu sei il Messia”) in risposta alla quale Gesù ha annunciato fa costituzione della “sua” Chiesa, il nuovo Israele in sostituzione dell’antico Israele, che non lo ha voluto riconoscere appunto quale Messia.
Subito dopo Gesù ha dichiarato esplicitamente che avrebbe dovuto soffrire e che anche i suoi discepoli avrebbero dovuto seguirlo nella sofferenza.
Tutto ciò è sconvolgente per chi l’ascolta, giacché la generale aspettativa israelitica è per un Messia glorioso: inconcepibile un Messia che soffra e addirittura muoia.
I profeti, Isaia e Geremia soprattutto, avevano parlato del “servo sofferente” di Jahvè, ma gli Israeliti non avevano voluto cogliere il pieno significato delle profezie.
L’idea è tanto radicata che persino Pietro, nonostante la precedente professione di fede, aveva rifiutato energicamente la prospettiva della passione di Gesù (il quale l’ha redarguito con espressione eccezionalmente forte: “lungi da me, Satana!”).
A confermare, dunque, la sua identità messianica, nonostante la rivelazione della futura passione, Gesù si “trasfigura”.
Ha condotto con sé Pietro e i fratelli Giovanni e Giacomo “su di un monte” della Galilea. La tradizione l’ha identificato con il Tabor a motivo della posizione elevata ed isolata, sulla pianura di Esdrelon.
La “trasfigurazione” – il volto brillante come il sole, le vesti splendenti come la luce – ha dunque lo scopo di rivelare l’identità soprannaturale, divina di Gesù.
La presenza di due personaggi dell’A.T. – Mosè ed Elia – sta a confermare la sua messianicità, cioè che egli è colui che essi hanno annunciato. Inequivocabilmente.
Mosè aveva detto al popolo: “Il Signore Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me: a lui darete ascolto” (Dt. 18,15). Il protagonista dell’Esodo aveva ricevuto e dato la Legge divina; Gesù è venuto “a portarla a compimento” (Mt 5).
Elia era stato il corifeo della vera adorazione a Dio; Gesù è venuto a perfezionarla “in spirito e verità” (Gv 4,24).
Mosè ed Elia non affiancano Gesù passivamente, ma “conversano con lui”, ossia hanno familiarità ed intesa, lo conoscono bene: è colui del quale hanno profetizzato.
E’ ancora Pietro a prendere la parola: esprime ammirazione, ma pure desiderio di “rimanere”, di non scendere dal monte, preoccupato ormai com’è della passione annunciata da Gesù e che ancora non riesce ad accettare pienamente.
Ed ecco, compare “una nube luminosa, che li avvolge della sua ombra”: è uno dei segni tipici degli interventi eccezionali di Dio, delle teofanie nell’Antico Testamento.
Gli Apostoli comprendono che quanto stanno sperimentando è realtà divina, dalla quale sono “avvolti”.
A conferma, la voce del Padre, il quale testimonia l’identità del Figlio, oggetto della sua compiacenza (per docilità alla sua volontà). L’imperativo – “ascoltatelo” – implica l’adesione a Gesù, anche quando prospetta sofferenza.
La reazione degli Apostoli è comune a tutti coloro che nell’Antico Testamento hanno avuto esperienza della teofania: la presenza straordinaria di Dio e la sua rivelazione rendono consapevole l’uomo di tutta sua pochezza, sino a sentirsi smarrito; è corrente la convinzione che “nessuno può vedere Jahvè, senza morirne”.
Gesù rincuora i tre privilegiati, ma – a visione conclusa – “ordina loro di non parlarne a nessuno, finché il Figlio dell’uomo non sia risorto da i morti”. Non è la prima volta che egli manifesta questa volontà, allo scopo di evitare qualsiasi improprio entusiasmo per il Messia glorioso, che confermerebbe le erronee aspettative degli israeliti.
La risurrezione sarà manifestazione universale della autentica gloria messianica: a quel momento occorre rimandare anche le testimonianze personali degli Apostoli. Prima di allora sarebbero controproducenti.

Il Suo volto brillò come il sole
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