La parola
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Ascensione del Signore (anno B), Marco 16,15-20

Il Signore fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Il mistero dell’Ascensione di Gesù rappresenta la profondità della Pasqua di Cristo, perché risorgendo dai morti, Gesù non ha ripreso la condizione mortale della nostra umanità, ma con tutto il suo essere è entrato nella gloria del Padre, partecipe di una vita che non ha più termine e che non conosce più i confini del tempo e dello spazio.
Come abbiamo ascoltato già nella notte della risurrezione, “Cristo, risorto dai morti, non muore più, la morte non ha più potere su di lui” (Rm 8,9). Proprio per dare ai discepoli un segno di questo nuovo stato d’esistenza, Gesù risorto nell’ultima apparizione, secondo il racconto di Luca (At 1,6-11), si è sottratto allo sguardo dei suoi amici, mentre veniva elevato in alto, avvolto da una nube. Sono tutti segni del suo essere divino, ricolmo di gloria, che segna per sempre Gesù, e ne fa davvero il Signore della sua Chiesa.
Il passo evangelico che conclude il vangelo di Marco, allude allo stesso mistero, ma in modo differente, e soprattutto fa intuire che l’Ascensione non è l’inizio di una lontananza, ma di una presenza più attiva di prima. In effetti, se Gesù fosse soltanto un grande maestro, ormai scomparso, che cosa sarebbe restato di lui nella cerchia dei primi discepoli?
Dei ricordi, anche carichi di affetto e di venerazione, che però, inesorabilmente con il tempo si sarebbero sbiaditi, oppure degli insegnamenti da trasmettere, da interpretare e da mettere in pratica, o ancora, una comunità di suoi seguaci, che avrebbero continuato ad ispirarsi alla sua figura. In questo modo il cristianesimo sarebbe diventato, nel tempo, una delle tante “filosofie” o dottrine religiose, e tutta l’esperienza vissuta dai primi discepoli sarebbe confinata in un passato, che difficilmente ha la capacità di muovere e trasformare la vita presente.
Ma, se andiamo al racconto degli Atti e ai primi passi della missione degli apostoli, se sappiamo guardare con occhi limpidi il cammino travagliato della Chiesa nella storia e l’ininterrotta testimonianza dei santi, e se abbiamo la grazia di vivere ora una reale esperienza cristiana, ci accorgiamo che non è così: Cristo non è un passato, un “accaduto”, ma è una presenza che accade, dentro una vita, percuotendo, muovendo, cambiando, oggi come ieri, l’esistenza di persone di ogni condizione e di ogni luogo. “È, se cambia; è se, opera” (Don Luigi Giussani): il cristianesimo non è una dottrina, non è nemmeno una religione, come le altre, perché è l’avvenimento di una Presenza che si fa contemporanea, tanto da investire e trasformare la vita di chi crede in lui, di chi accoglie il suo annuncio, di chi partecipa della vita, nata da Lui.
Tutto questo flusso di grazia è possibile, perché Gesù è risorto, è vivo con il suo corpo glorificato presso il Padre, è asceso al cielo, dove il cielo non indica lo spazio celeste sopra di noi, ma la profondità ultima dell’essere, da cui tutto trae vigore ed energia di vita, e siede alla destra di Dio, in quanto è Signore del tempo e della storia, partecipe della signoria totale del Padre.
Il vangelo di Marco esprime questa realtà, mettendo in rilievo il legame che si stabilisce tra la missione degli Undici e l’azione del Signore glorificato, cosicché il compito affidato ai suoi discepoli può essere realizzato solo in forza di una presenza attiva del Risorto: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro, e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano”. In pochi tratti, è descritta l’esperienza che in tanti modi si rinnoverà nel cammino dei discepoli, da allora fino ad oggi.
Certo c’è la proclamazione del Vangelo, della lieta notizia, dell’annuncio buono e vero che riguarda Gesù di Nazaret, il suo insegnamento, i suoi gesti, la sua morte e risurrezione, ma questa Parola è efficace, perché è accompagnata da segni che attestano una presenza operosa: e segni non sono solo le guarigioni o i miracoli che sanano il corpo e lo spirito, ma il primo segno è un’esistenza che inizia a respirare, a cambiare, ad assumere un volto prima ignoto di bellezza e di letizia.
Così Cristo, asceso al Padre, è ancora più presente di prima, tanto che agisce con i suoi discepoli, così come agiva per le vie della Galilea e della Giudea: ecco perché la festa dell’Ascensione è festa di gioia, riconoscimento grato e stupito di Uno che accade qui ed ora.

Il Signore fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio
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