La parola
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Il Signore corregge colui che egli ama

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Dalla lettera agli Ebrei
Eb 12,5-7.11-13
 
Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
perché il Signore corregge colui che egli ama
e percuote chiunque riconosce come figlio».
 
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati.
Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire

Essere “un salvato”  equivale ad essere figlio di Dio.

E l'amore paterno si esprime anche nel momento della cor­rezione, che pertanto va accettata, di cui si deve esser grati.

L'autore della lettera cita un passo del libro dei Proverbi (3, 11-12) in cui si e­sorta il figlio a tenere in giu­sta considerazione il rimprove­ro paterno. E’ impossi­bile che un figlio non abbia di­fetti da correggere ed è piuttosto improbabile, per la naturale im­maturità, che se ne renda con­to da sé. Il padre che non riprende, che non rimpro­vera, non si preoccupa suffi­cientemente dell'educazione del figlio non lo ama. Anzi il padre dimostra il proprio amore verso la prole il figlio pro­prio nel momento in cui rim­provera, perché ha pena, gli di­spiace doverlo far soffrire: se questa debolezza – di debolez­za infatti si tratta – ha il sopravvento, l'amore paterno vien meno, manca alla propria re­sponsabilità.

Così Diverso i suoi figli, i salvati: nel momento in cui cor­regge dimostra ancora il suo amore, per il quale vuole che i figli rimangano salvati e non  si perdano nuovamente.

Ma non c’è correzione che non provochi sofferenza. Anzi nella pedagogia di Dio la sofferen­za è essa stessa correzione, ri­chiamo, penitenza. Non può es­sere considerata fine a se stessa: sarebbe illogica o postulerebbe, assurdamente, il sa­dismo di Dio.

E' ancora la fede che soccor­re, la fiducia in Dio che rende consapevoli del suo amore, del­la sua volontà salvifica, nel mo­mento della correzione che fa penare.

Come una medici­na o un presidio sanitario, la correzione divina è de­stinata ad operare raddrizzamenti, consolidamenti, mancan­do i quali invece il male diven­ta cronico o si aggrava. Ancora l'autore si rifà ad espressioni bibliche, tratte da Isaia e dai Proverbi: “Rinfrancate le mani cadenti e ginocchia infiacchi­te, raddrizzane le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppo non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire”.

Esser salvati significa esser portati a guarigione spirituale: per  conseguirla sono indispensabili rime­di medicinali e talora pure chi­rurgici... Il Padre, che ama, non può lasciare intentato alcun accorgimento, anche se, sul momento, può sembrare crudele piuttosto che amoroso: è il risultato che con­ta, la gioia eterna che rim­piazza il tormento momentaneo.

Fonte: Il Cittadino
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