II lettura di domenica 25 luglio - Un solo corpo, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo
XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
All’inizio della pericope abbiamo la notizia, per transenna, che Paolo scrive dalla prigionia, (probabilmente durante la prima detenzione a Roma, tra il 61 e il 63). Si dice “prigioniero del Signore” (nel testo greco: “prigioniero nel Signore”) per dichiarare che la causa di tale situazione è la fede e il servizio apostolico, quindi la sua appartenenza anche come prigioniero al Signore, essendo anzi a lui unito (“nel Signore”) in maniera speciale per l’esperienza della persecuzione, della croce, a sua imitazione.
Dopo aver esposto i motivi teologici della incorporazione a Cristo e quindi della unità ed uguaglianza, in Cristo, di tutti i credenti, l’Apostolo passa alla parte parenetica, esortando i destinatari della lettera a tradurre in atteggiamenti pratici tale realtà teologica.
“Vi esorto, fratelli”, secondo la portata del verbo greco, ha ben più forza della semplice esortazione: connota la accorata premura, la sollecitudine appassionata dell’Apostolo, animato dall’amore di Cristo verso i fratelli, da portare a salvezza.
Il comportamento morale dei cristiani deve essere coerente – di-ce Paolo – con la “vocazione ricevuta”.
È impensabile una convinzione di fede teorica, avulsa dalla vita.
Fede e morale sono intimamente connesse. “Comportarsi” (in greco“camminare”) è immagine biblica che designa la condotta morale.
Occorre, innanzi tutto, “umiltà”, tanto più facile da praticare quanto più si rifletterà che i beni dell’unione con Cristo ci sono giunti senza alcun nostro merito (2,5.8); anzi contro ogni nostro merito, essendo noi, nella condizione naturale, peccatori, soggetti all’ira di Dio (2,1-5).
Quasi frutto immediato dell’umiltà, la “mansuetudine”, la moderazione nei rapporti col prossimo: atteggiamento doveroso di chi è consapevole della propria miseria di fronte a Dio, dal quale è stato tuttavia favorito largamente.
Poi la “longanimità” o pazienza nel sopportare le i difetti altrui, attenendone con fiducia l’emendazione.
Ciascuna di queste virtù non può sussistere senza le altre e così si realizza “l’unità dello spirito”, cioè l’unità voluta dallo Spirito Santo e caratteristica dell’azione dello Spirito Santo, tramite “il vincolo della pace”: l’unità infatti si consegue solo mediante la pace.
Paolo richiama i fondamenti dell’unità: l’unicità del “corpo” – la Chiesa – l’unicità dello “Spirito” che dona la grazia, l’unicità della “speranza” concernente la salvezza.
Poi ancora incalza: unicità di Dio, della fede, del Battesimo. Tutto perché unica è la paternità di Dio, il quale veglia su tutti, vuole tutti al suo servizio di amore – “agisce per mezzo di tutti” – ed è presente in tutti, con la vita, i doni naturali e quelli soprannaturali.
Una serie di espressioni che hanno lo stile di una formula di acclamazione battesimale, solenne e teologicamente pregnante.
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