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II lettura di domenica 21 agosto - XXI domenica del Tempo Ordinario

I salvati - Anno C

II lettura di domenica 21 agosto - XXI domenica del Tempo Ordinario

Dalla lettera agli Ebrei
Eb 12,5-7.11-13
 
Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
perché il Signore corregge colui che egli ama
e percuote chiunque riconosce come figlio».
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati.
Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.

Essere “un salvato” equivale ad essere figlio di Dio.

E l'amore paterno si esprime anche nel momento della cor­rezione, che pertanto va accettata, di cui si deve esser grati.

L'autore della lettera cita un passo del libro dei Proverbi (3, 11-12) in cui si esorta il figlio a tenere in giusta considerazione il rimprovero paterno. E’ impossibile che un figlio non abbia di­fetti da correggere ed è piuttosto improbabile, per la naturale immaturità, che se ne renda conto da sé. Il padre che non riprende, che non rimprovera, non si preoccupa suffi­cientemente dell'educazione del figlio non lo ama. Anzi il padre dimostra il proprio amore verso la prole il figlio proprio nel momento in cui rimprovera, perché ha pena, gli dispiace doverlo far soffrire: se questa debolezza – di debolezza infatti si tratta – ha il sopravvento, l'amore paterno vien meno, manca alla propria responsabilità.

Così Diverso i suoi figli, i salvati: nel momento in cui corregge dimostra ancora il suo amore, per il quale vuole che i figli rimangano salvati e non  si perdano nuovamente.

Ma non c’è correzione che non provochi sofferenza. Anzi nella pedagogia di Dio la sofferenza è essa stessa correzione, ri­chiamo, penitenza. Non può essere considerata fine a se stessa: sarebbe illogica o postulerebbe, assurdamente, il sadismo di Dio.

E' ancora la fede che soccorre, la fiducia in Dio che rende consapevoli del suo amore, della sua volontà salvifica, nel mo­mento della correzione che fa penare.

Come una medicina o un presidio sanitario, la correzione divina è destinata ad operare raddrizzamenti, consolidamenti, mancan­do i quali invece il male diventa cronico o si aggrava. Ancora l'autore si rifà ad espressioni bibliche, tratte da Isaia e dai Proverbi: “Rinfrancate le mani cadenti e ginocchia infiacchite, raddrizzane le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppo non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire”.

Esser salvati significa esser portati a guarigione spirituale: per conseguirla sono indispensabili rimedi medicinali e talora pure chirurgici... Il Padre, che ama, non può lasciare intentato alcun accorgimento, anche se, sul momento, può sembrare crudele piuttosto che amoroso: è il risultato che conta, la gioia eterna che rim­piazza il tormento momentaneo.

Fonte: Il Cittadino
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