La parola
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II lettura di domenica 11 settembre - XXIV domenica del Tempo Ordinario

Anno C - La misericordia

II lettura di domenica 11 settembre - XXIV domenica del Tempo Ordinario

Dalla prima lettera di S. Paolo apostolo a Timòteo
1 Tm 1,12-17

Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli.

La misericordia divina si esprime in tutta la signorilità paterna verso Paolo. L'Apostolo ne è consapevole. Dio lo ha chiamato ad essere suo ministro, portatore di salvezza, di misericordia, traendolo generosamente, da una situazione addirittura di avversione a Cristo.
Paolo riconosce d’essere stato “bestemmiatore, persecutore, violento” contro Gesù Cristo. Dio tuttavia lo l’ha eletto suo apostolo, in considerazione della sua mentalità incolpevolmente erronea: gli “è stata usata misericordia, perché agiva senza saperlo”. Nella vocazione di Paolo la divina liberalità splende più affascinante ed incoraggiante. Scopo dell’Incarnazione del Figlio di Dio è l'attuazione più completa misericordia nella redenzione dal peccato. Allora, dovendo Paolo esser foriero di questa realtà, Dio sceglie lo sceglie da una condizione persino opposta a quella cui dovrà guidare gli altri: perché sia vivente “dimostrazione” della “magnanimità” salvifica di Dio.
Tutto ciò è di importanza capitale, irrefutabile. L'Apostolo usa una formula di cui si serve ogni volta che deve asserire qualcosa di rilevante interesse e che comunque gli sta a cuore: “Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta”. Quasi una formula dogmatica, secondo cui non si può porre in dubbio il valore e la scopo soteriologico dell'Incarnazione.
Dall'affermazione, quasi contemplativa, Paolo è trasportato entusiasticamente alla gratitudine: prorompe in una dossologia gioiosa “al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile”, il quale vuol servirsi, misericordiosamente, dell'uomo, per portare misericordia a tutta l'umanità. “L'onore e la gloria” a Dio non può esaurirsi in un'ora: ha da perpetuarsi “nei secoli dei secoli”.

Fonte: Il Cittadino
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