La parola
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4a domenica del Tempo Ordinario - anno C, Luca 4, 21-30

Gesù è mandato non per i soli Giudei

Nel capitolo 15 del suo vangelo, Luca raccoglie tre parabole, in una cornice particolare: mentre si fanno vicini a Gesù i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo, i farisei e gli scribi mormorano, scandalizzati; proprio contro questo scandalo miope, Gesù delinea l'agire stesso di Dio, nelle tre parabole, quasi a dire: 'Io agisco così, travolgendo ogni misura, perché così agisce il Padre, così si fa visibile il Padre nella sua sorprendente misericordia'.

Gesù è mandato non per i soli Giudei

Nel capitolo 15 del suo vangelo, Luca raccoglie tre parabole, in una cornice particolare: mentre si fanno vicini a Gesù i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo, i farisei e gli scribi mormorano, scandalizzati; proprio contro questo scandalo miope, Gesù delinea l'agire stesso di Dio, nelle tre parabole, quasi a dire: 'Io agisco così, travolgendo ogni misura, perché così agisce il Padre, così si fa visibile il Padre nella sua sorprendente misericordia'. Al centro dell'ultima parabola, che oggi è qualificata come parabola del padre misericordioso, più che del figlio prodigo, proposta nella liturgia odierna, e che rappresenta l'apice narrativo e teologico di Lc 15, c'è appunto la rivelazione del volto più vero di Dio, un volto che s'incarna nei gesti, nelle parole, nella persona stessa di Cristo. Il protagonista autentico della parabola, come dell'intera vita di Gesù, è il Padre, così diverso dai nostri criteri di giudizio, così diverso dalle immagini che di lui si sono fatti i due figli. Il più giovane, il minore, pensa di poter essere veramente libero lontano dal padre, fuori dalla casa e, ben presto, sperimenta il suo fallimento: perde tutte le sue sostanze, si riduce alla fame, all'umiliazione, ma soprattutto gli sembra di aver smarrito la sua dignità di figlio; nel momento in cui rientra in se stesso e avvia il cammino della conversione, del ritorno, pensando alle parole da dire al padre, crede di non poter essere più accettato come figlio: 'Non sono più degno d'essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi servi!'. Quando l'uomo sperimenta il suo peccato, quando ne percepisce il peso e la vergogna, è tentato di dire così: 'Non sono più tuo figlio, non sono più degno del tuo amore'; è un'esperienza che può attraversare la nostra vita. Invece, Dio è questo padre che non attende altro che il ritorno del figlio disperso, che non permette al figlio di concludere la sua confessione, lo abbraccia, gli ridona tutte le insegne della sua dignità (il vestito, l'anello, i calzari) e fa festa, perché ai suoi occhi, anche se lontano, anche se perduto, era sempre suo figlio: 'Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato'.Un amore così non è compreso dall'altro figlio, giusto, irreprensibile: 'Non ho mai trasgredito un tuo comando'. Mai nulla di errato nel suo comportamento, eppure non ha capito nulla, vive un rapporto da servo, non da figlio, non si sente in comunione con il padre, e davanti al ritorno del fratello prende le distanze, s'irrigidisce, e il padre, instancabile, si muove anche incontro a lui, va a supplicarlo, vuole che entri alla festa, che entri nella logica nuova della misericordia. Questo figlio maggiore - che non sappiamo se alla fine accetta o no di entrare alla festa - impersona bene l'uditorio di Gesù, i giusti, i farisei, i benpensanti: chi si sente a posto, chi ha ridotto il suo rapporto con Dio ad una serie di prestazioni e di doveri formalmente compiuti; è peggio del fratello ribelle e prodigo, perché non ha cuore suo fratello e non si lascia ferire dal miracolo della misericordia. Il miracolo che appare nella storia con Gesù si chiama misericordia, un Dio ricco di misericordia, un Dio che ama con misure e modi paradossali, un amore a volte bruciante ed esigente, che purifica nella sofferenza e nella croce, un amore gratuito e inesauribile, che continuamente ci attende, ci riprende, ci abbraccia, ci perdona, un amore che, nella Pasqua di Cristo, si svelerà in pienezza, più potente del peccato e della morte, più luminoso di ogni tenebra. Il vangelo di questa domenica è narrazione di un tale amore e porta in sé l'appello, quasi la preghiera, di non restare aggrappati ai nostri limiti, come gli scribi e i farisei ai quali si rivolge Gesù, di lasciarci toccare e commuovere da questa tenerezza, da questo sguardo paziente e appassionato di Dio, che traspare nel volto di Cristo: comunque siamo, figli prodighi e facili all'infedeltà, o figli che ci sentiamo giusti e a posto, la misericordia del Padre è l'orizzonte ultimo del nostro destino e del nostro cammino, diritto o tortuoso. La letizia che traspare dall'annuncio di Gesù, è eco della gioia del Padre e della gioia del figlio ritrovato.

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