La parola
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1a Domenica di Quaresima (anno A), Matteo 4, 1-11

Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra»...

Il cammino della Quaresima inizia nel deserto dove "Gesù fu condotto dallo Spirito per essere tentato dal diavolo". La notazione di Matteo può stupire, sia perché ci mette di fronte ad una realtà che, a volte, rischiamo di considerare solo come un simbolo, sia perché sembra strano che lo Spirito conduca Gesù per essere tentato. Innanzitutto l'evangelista esprime, in forma drammatica, un'esperienza che ha segnato la vita e la missione di Cristo e che continua a caratterizzare di ogni credente, ed è appunto la prova della tentazione, che ha origine in un essere spirituale "pervertito e pervertitore" (Paolo VI), la cui identità è già racchiusa nei diversi nomi con cui è indicato nel nostro passo. È chiamato "diavolo" che significa il divisore, che cerca di infrangere la comunione tra gli uomini e Dio, tra il Gesù il Figlio e il Padre; è chiamato "il tentatore" perché in ogni modo cerca di farci cadere nel peccato e nella menzogna; è chiamato "satana", l'accusatore, perché, dopo averci indotto al peccato e alla caduta, ci accusa interiormente e ci fa sentire ormai schiavi del male.
Non esiste cammino umano e cristiano vero senza tentazione, senza questa dimensione di lotta e di combattimento spirituale, e lo Spirito conduce Gesù e con lui tutta la Chiesa, a fare esperienza della tentazione, non perché Dio ci voglia indurre al male, ma perché solo chi vive una reale conversione al bene e a Dio, conosce la tentazione: "Lo Spirito non fa evitare, bensì affrontare la prova. Compiuta la scelta buona, c'è la difficoltà a portarla avanti. Le tentazioni non esistono finché si fa il male. Vengono quando ci si ribella ad esso, e con violenza proporzionale all'impegno" (S. Fausti). Tutto ciò accade nel deserto, luogo della solitudine e del silenzio, perché quando siamo soli, nella verità della nostra coscienza, di fronte a Dio, noi possiamo percepire l'insidia della tentazione e riconoscere il nemico che ci sta di fronte; immersi nella distrazione o in mille attività che riempiono la giornata, corriamo il rischio di non avvederci nemmeno del pericolo e di non avere più la chiarezza del cuore. Ora nel dramma di Gesù, per due volte risuona la parola del nemico: "Se tu sei Figlio di Dio", perché la tentazione tocca l'identità e la missione di Cristo, e anche nella nostra esistenza, siamo tentati sull'essenziale, sul bene che abbiamo intuito e che stiamo seguendo, sul rapporto decisivo con il Padre. Normalmente, se siamo all'inizio di un cammino di conversione, magari dopo un tempo d'allontanamento e di confusione, l'avversario cerca di colpire il nostro desiderio del bene, e ce lo fa apparire impossibile, difficile, bello, ma non alla portata della nostra libertà; ma se siamo già radicati nel bene, se stiamo vivendo la bellezza d'essere figli, allora il nemico tenta di farci perseguire il bene, ma in modo sbagliato, mettendo al centro noi stessi. Se percorriamo il racconto dell'evangelista, ci rendiamo conto che Gesù è tentato nel modo d'essere Figlio e quindi di vivere la sua missione, e l'alternativa è tra la logica del possesso e quella del dono: la proposta di satana è assecondare la brama di cose e ricchezze, di onore e di apparenza sul palco del mondo, di orgoglio e di dominio, mentre la via di Gesù, segnata dal Padre, è guidata dal desiderio di povertà, umiliazione e umiltà. Gesù, infatti, si riceve come Figlio dalle mani del Padre e compie la sua opera in una solidarietà con i fratelli uomini, fino al dono totale di sé sulla croce: egli non s'impossessa delle cose, ma le accoglie e le guarda come dono, non intende piegare Dio a proprio vantaggio, in un uso magico della potenza divina, né vuole stabilire un dominio sugli uomini, ma solo servire.
Così Cristo sarà re e messia, nella povertà, che lo rende libero dalle cose, nella fiducia nel Padre, che lo conduce ad accettare l'umiliazione e l'apparente sconfitta, e nell'umiltà, che vince amando. Lo stesso cammino è ora aperto alla sua Chiesa che dovrà esercitare discernimento e vigilanza, per non cadere nell'inganno di un'apparenza di bene: anche noi, discepoli del Signore, siamo posti, ogni giorno, in questo dramma, che rende grande e seria la vita, e siamo chiamati a scegliere tra la via di Gesù, che porta a vivere la gioia del dono, e la via del tentatore, che porta ad un triste possesso delle cose e delle persone.

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