La parola
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XVII Domenica del Tempo Ordinario (29 luglio 2018)

In situazione di necessità, al di sopra delle possibilità naturali e umane, Dio, se occorre, interviene prodigiosamente, ma impegnando la collaborazione della creature intelligente: del profeta e di colui che condivide il pane che ha. La condivisione è esperienza concreta della fraternità umana, dalla comunione dei credenti in modo speciale, i quali si riconoscono in un solo corpo, figli di un unico Padre. Anche in ciò Gesù porta a perfezione il messaggio già presente nell’Antico Testamento ovviamente non soltanto a livello materiale, ma, soprattutto, spirituale e soprannaturale: l’Eucaristia ne sarà l'espressione più alta.

Gesù passa alla riva nord occidentale del lago, che per le sue dimensioni, viene chiamato “mare di Galilea”, cui l’Evangelista aggiunge anche l’altra denominazione “di Tiberiade”, la città che Erode Antipa, tra il 18 e il 22 d.C. ha fondato in onore dell’imperatore Tiberio e che quindi è diventata la capitale della regione. “Una grande folla lo segue”, a motivo dei “segni” che Gesù compie “sugli infermi”. Giovanni dice “segni” i fatti miracolosi, i quali sono atti di misericordia e commendatizia della sua divinità. Gesù sale su un’altura, probabilmente di fronte a Cafarnao e, accompagnato dai discepoli, si siede.

L’Evangelista annota che “è vicina la Pasqua”, spiegando ai destinatari del suo scritto – evidentemente non ebrei – che è “la festa dei Giudei”, massima solennità, destinata a diventare la festa per eccellenza dei cristiani: il fatto che viene narrato è propedeutico a questa nuova Pasqua, implicitamente annunciata. Constatata la quantità di gente che gli sta attorno, Gesù inter-pella Filippo, il quale essendo di Betsaida – sull’altra riva del lago – conosce le opportunità di approvvigionamento: “dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. In realtà è una domanda strumentale, finalizzata a mettere in risalto ciò che sta per accadere: Gesù “sa bene quello che sta per fare”.

La risposta di Filippo è sconfortante, quasi una rimostranza: “duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno ne possa ricevere un pezzo”.Un denaro è la paga giornaliera di un lavoratore, pertanto “duecento denari” sono una somma assai considerevole e, comunque, inadeguata alla necessità della circostanza. Di rincalzo a Filippo, l’intervento di Andrea, anch’egli di Betsaida, il quale informa che c’è un ragazzo – forse l’unico previdente – che ha con sé cinque pani d’orzo (il cibo dei poveri) e due pesci (essiccati o affumicati), ma indubbiamente insufficienti “per tanta gente”. Fatta rimarcare l’umana impossibilità di sfamare una folla di “circa cinquemila uomini”, Gesù, secondo la consuetudine ebraica, pronuncia una preghiera di ringraziamento, che sulle sue labbra ha la forza di moltiplicare pani e pesci, per sfamare sino a sazietà i presenti.

Non sembra senza significato che Giovanni usi il verbo “eucharistein” – “rendere grazie” – che altrove viene specificamente riferito all’Eucaristia: infatti all’Eucaristia sarà dedicato il discorso che Gesù farà il giorno seguente nella sinagoga di Cafarnao, collegandolo con questo miracolo. Ai discepoli dà incarico di “raccogliere i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”: l’abbondanza, anche miracolosa, non può legittimare lo spreco. La gente, la quale ha beneficiato del prodigio, non coglie però il suo giusto “segno”: pensa ad un profeta, ad un messia che sazi materialmente, liberando quindi da ogni preoccupazione e fatica. “Ma Gesù, sapendo che stanno per venire a prenderlo per farlo re, si ritira di nuovo sulla montagna”, fugge l’entusiasmo della folla, si apparta – “tutto solo” – a colloquio col Padre. Ancora una volta viene ribadita la preoccupazione di Gesù di non concedere alcun appiglio all’illusione di un messianismo materialistico. Non può permettere che coloro che egli deve costituire, a livello spirituale e soprannaturale, come nuovo popolo di Dio, equivochino sulla sua personalità e sulla sua missione.

Fonte: Il Cittadino
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