La parola
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6a Domenica del Tempo Ordinario (anno A), Matteo 5,17-37

Così fu detto agli antichi, ma io vi dico

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio...

Dopo la proclamazione delle beatitudini e della novità che caratterizza la vita dei discepoli, Matteo introduce un primo sviluppo del discorso del monte, con un'affermazione limpida e forte di Gesù: "Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento". La Legge e i profeti rappresentano il dono della parola che Dio ha consegnato al suo popolo, una parola che è per la vita, ma che spesso denuncia il peccato degli uomini, la loro durezza di cuore, l'incapacità a corrispondere all'Alleanza. È esperienza universale, che non basta la legge a rendere giusto il nostro cuore, né è sufficiente la forza di una parola autorevole per trasformare in profondità ciò che siamo. Gesù compie la Legge e i profeti perché, come figlio del Padre, vive una relazione d'amore totale con Dio e così è in grado di compiere ogni giustizia: egli, che è il Figlio amato, ama il Padre e ama i fratelli, vive ed incarna la novità delle Beatitudini, e porta a pienezza le esigenze della Legge. La Legge è antica, ma il compimento è nuovo, perché ha il segno della novità di Gesù, e nella misura in cui diventiamo discepoli di Cristo, e ci mettiamo alla sua sequela, viviamo un cammino d'immedesimazione, tale da essere come lui. In quanto figli nel Figlio, diventiamo ciò che noi siamo, fino ad essere perfetti, compiuti come il Padre (Mt 5,48). La giustizia che Cristo annuncia e rende possibile supera quella degli scribi e dei farisei, è una giustizia letteralmente "eccessiva", sovrabbondante, che eccede i limiti della legge: in fondo è la giustizia del Padre che ama e perdona, è la giustizia del Figlio che, nel suo agire tra gli uomini, rivela il volto del Padre, è la giustizia dei suoi discepoli, toccati e coinvolti in questo dinamismo d'amore e di libertà. Le cosiddette "antitesi" che ora seguono (Mt 5,21-48) sono la descrizione di questa giustizia eccessiva, che travalica ogni misura e giunge al paradosso, ma è il paradosso di un amore gratuito che dà forma all'esistenza: vanno allora ben comprese, per essere vissute con uno spirito da figli e non come imposizioni ancora più gravose e impossibili. In realtà non sono propriamente delle antitesi, perché Gesù non intende contraddire i precetti della Legge, ma chiarisce la direzione profonda di ciò che è richiesto, modifica ciò che era stato introdotto come concessione alla fragilità umana e scende in profondità, passando dal piano delle azioni a quello dei desideri e delle intenzioni del cuore. Soprattutto, non bisogna perdere di vista che siamo di fronte ad un "vangelo", non ad un nuovo codice ancora più soffocante, e non a caso l'evangelista Matteo fa precedere questa parte del discorso dall'apertura luminosa delle beatitudini, che esprimono l'azione di Dio e il dono del suo Regno, offerto ora in Cristo a tutti i discepoli: "Alla luce del regno del Padre, proclamato nelle beatitudini si rivedono ora i rapporti con gli altri e con l'Altro. Voi che avete la sapienza delle beatitudini, siete sale della terra e luce del mondo proprio perché vivete con gli altri da fratelli, che conoscono il Padre comune" (S. Fausti).
Come tutte le parole del Vangelo, anche il contenuto delle "antitesi" di Matteo risplende nella persona di Gesù, nel suo modo d'essere e d'agire, come Figlio del Padre e fratello degli uomini, e questa riconduzione delle norme alle radici stesse della libertà e dell'interiorità umana, è la strada perché in noi viva il cuore nuovo di Cristo, "mite" nel rapporto con i fratelli, e "umile" nella sua relazione con il Padre. Se percorriamo i primi quattro pronunciamenti di Gesù sulla Legge, su ciò che fu detto e consegnato da Dio ai padri, possiamo leggere questo processo che dall'esterno raggiunge l'interno e che vuole restituire alla Parola di Dio tutto il suo splendore di verità e di bellezza: non basta non uccidere, perché ci sono forme che fanno morire il fratello in modo più subdolo, ma non meno reale, come l'insulto e il disprezzo (5,21-26); non basta non commettere azione di adulterio, perché c'è un adulterio che si consuma nel cuore, quando si ha uno sguardo di possesso sulla donna di altri e, proprio perché c'è in gioco qualcosa di grande e di prezioso, occorre essere decisi nel "tagliare" ciò che è motivo di inciampo e di caduta (5,27-30); e anche se esisteva una norma che ammetteva il divorzio, ora è tempo di attestare la verità piena dell'unione voluta da Dio, fin dal principio (5,31-32; cfr. Mt 19,3-9); infine, non c'è più bisogno di giurare, chiamando in causa Dio, la bocca, invece, è chiamata a riflettere la trasparenza del cuore. Tutto questo modo nuovo e bello d'essere e di vivere le relazioni fondamentali non è l'esito di un eroico ed impossibile sforzo di coerenza, ma fiorisce nella comunione con Gesù, il Figlio che ci restituisce alla nostra verità di figli e fratelli.

Così fu detto agli antichi, ma io vi dico
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