La parola
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Il Vangelo della Domenica, Gv 6, 24-35

Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Dopo il racconto della moltiplicazione dei pani, l'evangelista Giovanni ci invita a compiere un percorso, che vada oltre l'immediata e immatura ricerca delle folle: queste, infatti, cercano Gesù, senza avere compreso il valore di segno, racchiuso nel gesto dei pani, mentre Cristo desidera che, attraverso il segno, ci si apra al mistero presente nella sua stessa persona.

Dopo il racconto della moltiplicazione dei pani, l'evangelista Giovanni ci invita a compiere un percorso, che vada oltre l'immediata e immatura ricerca delle folle: queste, infatti, cercano Gesù, senza avere compreso il valore di segno, racchiuso nel gesto dei pani, mentre Cristo desidera che, attraverso il segno, ci si apra al mistero presente nella sua stessa persona. Fin dall'inizio, egli svela la parzialità e l'insufficienza di una ricerca, che può essere la nostra, e che non di rado si afferma nella vita degli uomini: 'Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati'. L'errore non è cercare dei segni, ma non lasciarsi provocare e muovere, fino in fondo, dal segno che accade, e soffocare l'impeto gratuito e infinito del desiderio, nella soddisfazione dei bisogni immediati: certo Gesù ha preso sul serio anche la fame di pane, in queste folle che lo seguivano, ha compiuto il prodigio, ma dietro quel bisogno Gesù legge un desiderio più profondo e più radicale, la fame inesauribile di bellezza, di verità, di bene, di vita piena ed eterna. Da qui l'invito aD uscire dalla logica del bisogno, ridotto alla nostra misura, e facilmente risolvibile, per scoprire l'ampiezza di un desiderio che è radicato nel cuore dell'uomo: non basta darsi da fare 'per il cibo che non dura', per i beni immediati e apparenti, che riempiono l'esistenza, ma lasciano senza risposta l'animo, e non sono in grado di reggere davanti alla tragedia della morte, della fine, del passare inesorabile di tutto. Un mondo che vive, inseguendo 'il cibo che non dura', rendendo un assoluto i beni che non saziano il cuore inquieto, è un mondo che inganna l'uomo, che cerca di spegnere e di assopire il desiderio dell'anima, e che alla fine, illude e delude amaramente: se siamo leali, non fatichiamo a vedere i segni di una tale impostazione della vita in noi e intorno a noi. Così le parole del Vangelo sono una sfida ed un appello a cercare 'il cibo che rimane per la vita eterna', il vero alimento, capace di saziare la fame di vita che è nell'uomo, la sete d'infinito che costituisce la struttura stessa dell'io umano. Qui sta la grande promessa e proposta di Cristo, il Figlio dell'uomo, che ci può donare un tale cibo, l'inviato, consacrato dal Padre: con una ardita esegesi dell'episodio della manna, alimento che ogni giorno, scendeva dal cielo per nutrire gli Israeliti, nel cammino dopo l'esodo (cfr. Es 16), Giovanni identifica nella persona di Gesù la vera manna che Dio ora ci dà. Non più un fatto passato, un segno antico, ma un avvenimento presente, in cui è all'opera il Padre: 'Non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pana dal cielo, quello vero'. L'aggettivo che usa l'evangelista 'vero' (alethinós) rimanda alla differenza tra promessa e compimento, tra ombra e realtà, e sottolinea che Cristo è il pane vero, perché è alimento che non viene meno, a differenza della manna, e soprattutto è capace di saziare la fame vera dell'uomo, che non è solo fame fisica, bisogno primario e meccanico, ma è fame di vita eterna, desiderio radicale e libero. In queste parole non c'è ancora l'annuncio del dono eucaristico, che Giovanni sviluppa nella parte finale del discorso (Gv 6,51-58), ma la manifestazione dell'identità singolare di Gesù, con una tipica formula giovannea di auto-rivelazione: 'Io sono il pane della vita'. Allo stesso tempo, ci è indicato il modo con cui noi possiamo nutrirci di questo pane, che è Cristo, e ricevere da adesso la vita vera, eterna, piena, ed è vivere il movimento della fede; in maniera originale, il quarto evangelista, che non usa la parola 'fede' (pístis), mette in parallelo il credere e il venire a Gesù, per mostrare chiaramente che l'esistenza credente è un movimento del cuore che viene a Cristo, che si lascia attrarre da Cristo, e così trova in lui la vita: 'Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!'. È una promessa che siamo chiamati a verificare, per scoprire tutta l'affidabilità di Gesù e del suo vangelo, e la sorprendente corrispondenza al desiderio ultimo del nostro cuore, affamato di vita, e l'eccedenza gratuita di ciò che Dio ha preparato per noi, figli nell'unico e amato Figlio.Corrado Sanguineti

Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!
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