La parola
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23A domenica del Tempo Ordinario - anno C, Luca 14, 25-33

Chi non rinunzia ai suoi averi, non può essere mio discepolo

Nella lettura domenicale del vangelo di Luca, stiamo percorrendo i capitoli della grande 'inserzione' lucana, da 9,51 a 19,28, sezione propria del terzo evangelista, il quale, nella cornice del viaggio di Gesù a Gerusalemme, raccoglie e dispone tradizioni proprie e tradizioni comuni a Matteo, secondo un proprio ordine. Il passo offerto alla nostra meditazione si svolge sulla strada: Gesù è in cammino, circondato da molta folla, e davanti a questo uditorio di discepoli e simpatizzanti richiama le condizioni di una sequela radicale.

Chi non rinunzia ai suoi averi, non può essere mio discepolo

Nella lettura domenicale del vangelo di Luca, stiamo percorrendo i capitoli della grande 'inserzione' lucana, da 9,51 a 19,28, sezione propria del terzo evangelista, il quale, nella cornice del viaggio di Gesù a Gerusalemme, raccoglie e dispone tradizioni proprie e tradizioni comuni a Matteo, secondo un proprio ordine. Il passo offerto alla nostra meditazione si svolge sulla strada: Gesù è in cammino, circondato da molta folla, e davanti a questo uditorio di discepoli e simpatizzanti richiama le condizioni di una sequela radicale. Qui possiamo rilevare la scelta e l'orientamento dell'evangelista, perché le parole di Gesù si ritrovano in contesti differenti in Matteo e Marco: l'invito a rompere ogni legame familiare, fino ad 'odiare' la propria vita, è presente in Mt 10,37-38, ma all'interno del discorso rivolto ai missionari itineranti. Per Luca, ormai, questa parola vale per tutti coloro che vogliono seguire Gesù, e l'evangelista mantiene il verbo forte e paradossale dell'odiare (in greco misein): certo, sullo sfondo c'è il significato semitico dell'espressione, che non va intesa come odio e disprezzo, ma come una preferenza di stima accordata a Cristo rispetto ad ogni rapporto, perfino rispetto alla propria vita; tuttavia, a differenza del passo parallelo in Matteo, resta questa connotazione radicale, condizione per essere discepolo del maestro. Tutto si gioca di fronte alla persona di Gesù, riconosciuta come cuore e radice di ogni relazione e di tutta l'esistenza; essere discepoli non è innanzitutto abbracciare una dottrina o un insieme di precetti, ma legarsi ad una Presenza, venire a lui, e accettare il paradosso di preferire Cristo ad ogni rapporto, anche a quelli più cari e decisivi nell'esperienza umana, non per perderli o disprezzarli, ma per ricondurre ogni particolare della vita al suo significato, a quella Sorgente ultima, senza la quale anche gli affetti più grandi inaridiscono, e senza la quale l'uomo, alla fine, perde se stesso, si ritrova vuoto, 'una passione inutile' (J.P. Sartre). Il secondo detto, qui ripreso da Luca, è ben noto nella tradizione dei sinottici e appare subito dopo il primo annuncio del destino di morte e di risurrezione, che attende Gesù a Gerusalemme (cfr. Mt 16,24 // Mc 8,34 // Lc 9,23): qui diventa chiaro che essere discepolo è mettere i passi dietro Gesù, ripercorrendo la via della croce. Questa croce, che è di ciascuno, può assumere diverse forme nell'esistenza del credente, e, alla luce di ciò che avverrà nei giorni della Passione di Gesù a Gesusalemme, può alludere al contrasto o alla derisione che incontra, nell'ambiente intorno a sé, chi vive la fede, come il condannato che portava la croce sotto lo scherno della soldataglia o della folla; può indicare la lotta quotidiana nel rinnegare il proprio 'io' per affermare Cristo come Signore della vita e per vivere secondo la nuova logica del Vangelo; può, infine, rappresentare la prova e la sofferenza che segnano il cammino dell'esistenza, vissute come comunione con Gesù crocifisso. Ciò che emerge con forza in queste parole, è la voluta insistenza dell'evangelista, nel far comprendere ai suoi interlocutori, che la vita segnata dall'incontro e dalla sequela di Cristo, è drammatica ed è grande, perché, in fondo, è un rivivere nella carne il mistero della Pasqua: attraverso la croce, attraverso l'apparente morte di sé e dei propri criteri, si condivide il cammino del Maestro, si diventa suoi discepoli, si sperimenta il paradosso che amando Lui, in ogni cosa e sopra ogni cosa, perdendo la vita, la ritroviamo. Per questo motivo, c'è un richiamo ad essere seri di fronte all'annuncio e alla proposta di Cristo, come occorre essere ponderati prima di iniziare un'impresa, come la costruzione di una torre o l'affrontare un nemico in guerra: l'esistenza cristiana non è una comoda passeggiata, è una grande avventura, che chiede un cuore libero e attento, disponibile ad andare fino in fondo, senza lasciare a metà l'opera intrapresa, un cuore che sappia davvero stimare Gesù come la suprema ricchezza della vita, per la quale vale la pena lasciare tutto.

Chi non rinunzia ai suoi averi, non può essere mio discepolo
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