La parola
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23a Domenica del Tempo Ordinario (anno C), Luca 14,25-33

Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”...

Dopo la scena del pranzo dove Gesù è ospite nella casa di uno dei capi dei farisèi, Luca torna a guardare al Maestro in cammino, seguito sorprendentemente da "una folla numerosa". La sorpresa sta nel fatto che più avanza verso Gerusalemme, più si manifesta la logica nuova del Regno, offerto ai poveri e agli esclusi. Nella cornice del banchetto sono state proposte tre parabole, che rivelano questa novità dirompente di Cristo: nell'immagine dell'ultimo posto, da preferirsi rispetto alla naturale ricerca dei "primi posti", ci veniva detto che la vera grandezza è l'umiltà di chi, in fondo, si fa piccolo e rinuncia ad affermare se stesso, sempre e comunque (Lc 14,7-11); nell'invito provocante a chiamare alla propria mensa "poveri, storpi, zoppi, ciechi", si proclamava la beatitudine di un amore gratuito, che non cerca il contraccambio, e predilige proprio gli esclusi (Lc 14,12-14); nella parabola del banchetto, sono ancora una volta questi esclusi i chiamati alla "grande cena" (Lc 14,15-24).
La preferenza per coloro che, in vario modo, vivono uno stato di povertà e di bisogno non ha ragioni sociologiche, ma si radica nel mistero stesso di Gesù, colui che "da ricco si fece povero" e che ha accettato dal Padre l'ultimo posto, dalla povertà di Betlemme alla nudità della croce, proprio come strada di un'umanità risorta ed esaltata da Dio, per sempre viva e vivificante. Non si comprende questo modo nuovo e diverso di vivere e di giudicare, senza la grazia d'essere attratti e conquisi dall'umanità bella, vera e buona di Cristo, com'è evidente nella testimonianza dei santi: uomini e donne che hanno scelto di seguire Cristo, nella povertà, nell'umiltà, nella letizia di chi condivide l'umiliazione del Signore, non per un disprezzo stoico dei beni, né per una scelta ideologica, ma solo per poter essere come Gesù, per poter rivivere in sé la libertà unica e incomparabile del Figlio dell'uomo.
Anche il brano offerto al nostro ascolto può essere inteso e vissuto solo a partire da una libertà commossa nell'incontro con Cristo, perché se un uomo ha scoperto in Gesù una ricchezza tale che niente sostiene il suo confronto, allora vivrà o tenderà a vivere le esigenze totalizzanti dell'essere discepolo del Signore. Per tre volte risuona il ritornello: "non può essere mio discepolo", in riferimento a condizioni radicali che racchiudono una pretesa umanamente esorbitante, una pretesa che solo il Bene assoluto e la Verità totale possono avanzare sulla libertà dell'uomo, Bene e Verità che, appunto, sono riconosciuti nel volto umano e divino di Gesù. Chi può pretendere d'essere amato più del padre, della madre, della moglie e dei figli, dei fratelli e delle sorelle, e perfino della propria vita, se non Colui che è la radice e la sorgente di ogni affetto e di ogni legame? Tutto parte da un venire a Lui ("Se uno viene a me"), da un venire dietro a Lui ("Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me"), mossi dalla sua attrattiva, perché essere discepoli è andare verso Gesù, dietro Gesù, da lui afferrati e avvinti.
Allora la radicalità delle esigenze che Cristo afferma è la radicalità di un amore che prende tutta la vita e stabilisce una nuova scala di valori, per cui la povertà, come distacco e sobrietà nei beni, è motivata dall'amore del sommo bene che è Gesù, e dal desiderio di immedesimarsi con il Maestro, e si accetta di portare la croce della fedeltà, nella pazienza del quotidiano, non per un eroismo d'animo, ma per un'affezione che fa aderire a Cristo, anche nel tempo della fatica e della prova.
In questa prospettiva, comprendiamo la grazia di chi è chiamato oggi nella comunità cristiana ad una totale consacrazione a Cristo, come segno e richiamo della verità dell'esistenza: "La vita cosiddetta religiosa propone a tutti il nocciolo della fede cristiana.
Chi riconosce nel suo Signore il suo tutto, si fa profezia per tutta la Chiesa, ricordandole l'essenziale" (S. Fausti). L'essenziale è appunto scoprire e discernere ciò che veramente vale, ciò che è in grado di muovere tutta la capacità affettiva dell'uomo: una Presenza amante e amata in confronto della quale tutto ciò che abbiamo e che cerchiamo di possedere è nulla, è una "perdita" che non tiene il confronto con la ricchezza della conoscenza dell'unico Signore (cfr. Fil 3,7-8).

Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo
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