La parola
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Il Vangelo della Domenica, Gv 14, 15-16. 23-26

A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». Il mistero che celebriamo nella festa di Pentecoste è duplice, ed abbraccia la discesa dello Spirito sui discepoli e la prima manifestazione della Chiesa, comunità dei credenti in Cristo. Lo Spirito e la Chiesa sono i due protagonisti che operano in profonda unità, e assicurano nel tempo la presenza viva ed efficace del Signore risorto. Davvero con la Pentecoste tocchiamo il compimento pieno della Pasqua di Gesù, perché lo Spirito promesso è il frutto del mistero di morte e di risurrezione, ed è attraverso lo Spirito che l'energia vivificante di Cristo è comunicata ai discepoli, e viene così plasmato un popolo nuovo, l'umanità raggiunta e liberata dal Signore. Senza il dono dello Spirito, è come se la novità del Risorto non potesse penetrare nei cuori e nella storia, senza lo Spirito i credenti non avrebbero accesso al mistero di Cristo, e non potrebbero costituire un corpo, un unico corpo, ricco di tante membra e di tanti doni. Per indicare il legame essenziale tra Gesù e lo Spirito, nel testo di Giovanni, tratto dal discorso d'addio dell'ultima cena, Gesù chiama promette: 'io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga con voi per sempre'. Si parla di 'un altro Paraclito' perché il primo è Cristo stesso, compagno fedele dei suoi amici, fino al dono di sé, e lo Spirito è frutto della preghiera del Signore per i suoi, perché non restino orfani, non siano soli nel cammino e nella prova, e continua l'opera di Gesù. Paraclito è un termine suggestivo che ha diverse risonanze: per sé signfica 'colui che è chiamato a stare vicino', è letteralmente l'ad-vocatus, e può indicare la figura processuale dell'avvocato, che difende o che accusa; ma applicato a Gesù in un altro testo di Giovanni (1Gv 2,1), può esprimere anche la figura dell'intercessore, che sostiene con la sua preghiera i credenti e ottiene grazia dal Padre; inoltre, il verbo corrispondente in greco può alludere anche ad un'azione di esortazione, d'incoraggiamento, di risveglio di coscienze intorpidite. Ecco lo Spirito, presenza invisibile ed inafferrabile, come il vento, è tutto ciò nella vita della Chiesa e dei discepoli, ed è realmente il sostegno e la sorgente di ogni rinnovamento e di ogni autentica riforma, personale ed ecclesiale. Ma la figura del Paraclito richiama anche la condizione di lotta che i discepoli vivranno, sempre e di nuovo, nella loro esistenza e nella loro testimonianza, una lotta che si consuma nel cuore, nelle scelte, nelle decisioni che pesano, una lotta inevitabile perché chi è di Cristo, è nel mondo, ma non è del mondo. Celebrare il dono dello Spirito, invocare la sua continua venuta è accettare il dramma d'essere credenti ed riconoscere il combattimento spirituale, che ha sempre segnato la testimonianza di vita dei santi; è qui che s'incontrano l'umile domanda dei discepoli, che attendono e invocano lo Spirito, e la preghiera stessa di Cristo, che come sommo sacerdote, entrato nel santuario del cielo, chiede al Padre per i suoi l'effusione del Paraclito. È un dono intimo, un dono personale che può comunicarsi nel segreto dell'anima, e allo stesso tempo, dono ecclesiale, promesso ad un 'voi', a questa comunità che nasce dalla Pasqua di Gesù, e mentre opera nel profondo dei cuori, secondo il ritmo misterioso del cammino di ogni credente, fa accadere il miracolo di un'unità e di una familiarità, impossibili all'uomo. Oltre all'azione di difesa, di consolazione e d'intercessione, lo Spirito è mandato dal Padre, nel nome di Cristo, per permettere una piena penetrazione del mistero di Gesù: 'Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto'. La comprensione, tutta illuminata dall'amore, delle parole di Gesù e la memoria viva e profonda di ciò che lui ha detto sono opera dello Spirito, e anche in questo caso possiamo riconoscere i segni della sua azione di maestro interiore, non solo a livello personale, ma nell'intera vita della Chiesa, che lungo la sua storia, custodisce ed approfondisce il tesoro del Vangelo e dell'intera Rivelazione. Così, nel breve testo di Giovanni, si delinea una presenza senza la quale saremmo abbandonati a noi stessi, incapaci d'entrare nel cuore del mistero, e nasce un'immensa gratitudine per l'opera discreta e feconda dello Spirito, che è davvero l'anima della Chiesa e l'anima delle nostre anime.Corrado Sanguineti

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