La parola
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Rabbunì, che io veda di nuovo!

XXX Domenica del Tempo Ordinario (domenica 28 ottobre)

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.

Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada. 

Per quanto interi popoli possano misconoscere Dio, egli mai li abbandona a se stessi definitivamente. Al momento opportuno, con pazienza, comincia l’opera di recupero, dal nucleo, anche sparuto, che ha conservato o ritrovato la fede. Il comportamento divino è documentato dalla storia di Israele, il cui momento culminante è realizzato da Cristo, il quale nella sua qualità di sacerdote perfetto viene a riconciliare l'uomo con Dio. Perché ciò avvenga è necessario che l’uomo si renda disponibile alla luce, alla visione del mondo e dell’esistenza, che soltanto Cristo può donare. Avuta la luce, la visuale adeguata, occorre poi percorrere la strada di Cristo, sulle sue orme. 

Gerico – autentica oasi tra il deserto montuoso della Giudea e le rive del Giordano, ove Erode ed il figlio Archelao si sono costruite lussuosissime abitazioni – è l’ultima tappa di Gesù verso Gerusalemme (poco meno di trenta chilometri) prima della passione, di cui ha già avvertito ripetutamente i discepoli.   A Gerico Gesù compie l’ultimo miracolo.   È un uomo conosciuto, se l’evangelista ne ricorda il nome, “Bartimeo”, in parte ebraico (“bar” = figlio) e in parte greco (“Timeo”), preoccupandosi di darne la spiegazione etimologica ai suoi lettori, non ebrei: “figlio di Timeo”, appunto. Il vociare, certamente inconsueto, della folla che segue Gesù, impressiona il cieco, il quale comprende di avere un’occasione eccezionale, giacché colui che questa volta sta per passargli dinanzi è Gesù “Nazareno” (l’attributo, dovuto al luogo in cui egli ha vissuto, oltre a distinguerlo da altri che portano, in questo tempo, lo stesso nome, Gesù, è diventato caratteristicamente unico, riservato a lui solo). Bartimeo grida: sia perché non sa se Gesù è a pochi passi da lui o ancora distante sia perché deve superare il vociare vivace della folla, ma soprattutto perché nel grido traduce l’intensità della richiesta, l’incontenibile ansia d’essere esaudito. Invoca pietà da colui che egli riconosce come Messia, lo chiama infatti “Figlio di Davide”, che è titolo messianico (cfr. Mc 11, 9-10; 12, 35-36). Una invocazione che è nel contempo, dunque, un atto di fede nel Messia, il quale, secondo l’annuncio dei pro-feti ha come missione la misericordia, il conforto dei sofferenti, la liberazione delle sventure (Is 35, 5 ss; 61, 1 ss).  “Molti lo sgridano per farlo tacere”: la preoccupazione di non turbare il loro incontro con Gesù è più forte dell’amore verso il povero disgraziato; anche perché non sono convinti che Gesù possa, veramente, far qualcosa per lui. Sant’Agostino, commentando l’avvenimento, paragona costoro, che vogliono zittire Bartimeo, ai “cristiani tiepidi e cattivi, ostacolo ai cristiani veri, veramente volenterosi” Bartimeo non si lascia intimidire, anzi “grida più forte”, nel timore che Gesù non possa udirlo; d’altra parte non ha altro mezzo che gridare per rendersi presente a Gesù, per poter in qualche modo rendersi presente a lui.  Riesce nell’intento: “chiamatelo”, intima Gesù, dopo essersi fermato. Qualcuno allora lo chiama, lo sollecita: “Coraggio! Alzati, ti chiama!”. Gli fanno anche largo se il cieco, “gettato via il mantello, balza in piedi e viene da Gesù” con sicurezza (il testo suggerisce che il cieco si muove da solo, non accompagnato).   Un’istanza che tuttavia non ha il tono della pretesa, della rivendicazione, ma della profonda e affettuosa stima, esternata nell'appellativo “Rabbunì”, che – forma intensiva di “Rabbì” (Maestro) –significa “Maestro mio”. “Va’, la tua fede ti ha salvato” risponde immediatamente Gesù, come già al momento della guarigione del paralitico (Mc 2, 9ss), dell’indemoniato di Gerasa (Mc 5,19), della donna sirofenicia (Mc 7,29). Gesù risponde alla fede, la quale pertanto costituisce condizione indispensabile per avvicinarsi a lui in maniera giusta. L’evangelista neppure spende parole per descrivere il miracolo e le immancabili reazioni della folla, oltre che del beneficato. Annota semplicemente che questi, riacquistata la vista, “prende a seguire Gesù per la strada”. Ha già gettato via il mantello, quando Gesù lo ha chiamato, ora, senza preoccuparsi né di raccoglierlo né d’altro, lo segue. “La strada”, che Gesù sta percorrendo, fisicamente è quella che lo conduce a Gerusalemme, ove sarà crocifisso; spiritualmente è quella tracciata dal suo messaggio di amore. La sequela del cieco guarito appare emblematica di chi, ricevuta la luce di Cristo, coerentemente deve ricalcarne le orme.

Fonte: Il Cittadino
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