La parola
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25a Domenica del Tempo Ordinario (anno C), Luca 16,1-13

Non potete servire Dio e la ricchezza

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”...

La parabola offerta al nostro ascolto è abbastanza strana e si presta a differenti letture: può essere utile non perdere di vista la sua collocazione.
Infatti il capitolo 16 del vangelo di Luca si apre e si chiude con due racconti parabolici che hanno entrambi a tema l'uso dei beni, solo che nel primo caso, il protagonista è lodato per la sua "scaltrezza", perchè ha agito saggiamente, mentre nel secondo caso (Lc 16,19-31), la sorte dell'uomo ricco, insensibile alla miseria di Lazzaro, è il fallimento totale della vita, nell'eterna separazione da Dio; inoltre al centro del capitolo, l'evangelista riporta parole di Gesù sull'uso giusto della "disonesta ricchezza", che illuminano la parabola precedente e raggiungono il culmine nella netta alternativa proposta: "Non potete servire Dio e la ricchezza".
Possiamo allora affermare che, se nel capitolo precedente, Gesù rivela come agisce il Padre, il Dio misericordioso, "benevolo con gli ingrati e i malvagi" (Lc 6,35), ora indica ai discepoli come agire nella concreta amministrazione dei beni che sono affidati.
In effetti, lungo la parabola, i due veri protagonisti (Dio e l'uomo) sono chiamati con il nome di "Signore" e di "amministratore": un amministratore disonesto, non per quello che sta per fare, vedendosi privato della sua amministrazione, ma per quello che ha già fatto, per aver esercitato il suo compito in modo ingiusto, accumulando beni per sé.
Tralasciando la questione sulla liceità della prassi che segue l'amministratore per avere chi lo potrà accogliere nell'ora del bisogno, è chiaro che, nella mente di Luca, il comportamento del protagonista va letto alla luce delle successive parole di Gesù: "Ebbene io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne".
Dove sta allora la saggezza lodata, da imitare nella vita dei discepoli? Sta nell'uso giusto dei beni, che non sono propri, ma ci sono affidati, e che siamo chiamati ad amministrare in una logica di dono e di gratuità, così come il Signore fa con noi, il Signore che si è mostrato capace di una misericordia smisurata, come il pastore che prende su di sé la pecora smarrita, come la donna che ritrova con gioia la moneta perduta, come il padre che accoglie e fa festa per il figlio ritrovato. In questa prospettiva possiamo comprendere in che senso l'uomo spesso è un amministratore ingiusto e perché la ricchezza è definita un "mammona d'ingiustizia": "L'uomo è un amministratore ingiusto perché si è fatto padrone di ciò che non è suo. Però ora conosce Dio: sa che tutto dona e perdona.
Di conseguenza sa "che fare" anche lui: condonare ciò che in fondo non è suo" (S. Fausti). Qui è la scaltrezza dei "figli della luce", ben diversa da quella dei "figli di questo mondo": siamo "figli di questo mondo" tutte le volte che viviamo in funzione del possesso e dell'accumulo e lentamente, finiamo per essere schiavi delle cose, dei nostri interessi, incapaci perfino di vedere il bisogno degli altri, incapaci di condonare e di elargire ciò che, in fondo, non è nostro, ma ci è affidato per farlo fruttificare, in una buona amministrazione; siamo "figli di questo mondo" tutte le volte che pretendiamo d'essere noi padroni e signori, dimenticando il vero Signore della vita, e non essendo più disponibili a ricevere e ad imparare da lui un amore gratuito. Così comprendiamo perché Luca definisce la ricchezza "ingiusta": innanzitutto perché molto spesso ciò che si accumula, andando molto oltre le proprie necessità e la ragionevole previdenza, può essere frutto d'ingiustizia, di qualche salario defraudato, di qualche affare non sempre trasparente, ma soprattutto perché è perversa la logica stessa dell'accumulo, che ci porta a porre la nostra consistenza in ciò che abbiamo, nello stile di vita che ci possiamo permettere, e che rischia di renderci ciechi e sordi davanti a chi manca del necessario, come accadrà al ricco senza nome della parabola di Lazzaro.
Ancora una volta Gesù indica la vera libertà, che è servire Dio, riconoscere la sua signoria d'amore e diventare così liberi dalle cose, capaci di condividerle: i poveri che avremo servito, riconoscendo in loro l'immagine del Signore, sono gli amici che ci accoglieranno nelle dimore eterne.

Non potete servire Dio e la ricchezza
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