La parola
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11a Domenica del Tempo Ordinario (anno B), Matteo 4, 26-34

É il più piccolo di tutti i semi, ma diventa più grande di tutte le piante dell’orto

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

Nel cammino del Tempo Ordinario riprendiamo la lettura continua del vangelo di Marco, dalle due parabole che concludono uno dei pochi discorsi di questo racconto, nel quale l’evangelista ha raccolto alcune parabole, quasi tutte caratterizzate dall’immagine della semina, del seme e del frutto. Sullo sfondo, si profila una crescente incomprensione per l’annuncio di Gesù, perché, accanto alle folle che lo cercano per ascoltarlo, si fanno notare i farisei e gli erodiani che già congiurano contro di lui (Mc 3,6), gli scribi che lo accusano di scacciare i demòni “per mezzo del capo dei demòni” (Mc 3,22-29), i parenti che lo considerano “fuori di sé” (Mc 3,20-21). A fronte di queste difficoltà che andranno crescendo, Gesù, attraverso queste parabole, mostra come si realizza il Regno di Dio, attraverso tutte le contraddizioni della storia. Ora, la prima parabola, quella del seminatore, con la successiva spiegazione (Mc 4,1-20), mette in luce l’esito differente che il seme della Parola realizza, nei vari terreni, nelle varie posizioni che il cuore dell’uomo assume di fronte a Cristo, Parola viva e personale di Dio, seminatore e seme del Regno: in realtà anche nella prima parabola il seme ha una potenza di vita immensa, tanto da realizzare un raccolto del trenta, del sessanta o del cento per uno (al massimo nella Palestina di Gesù il rapporto tra seme e raccolto era uno a sette/ otto, non di più). Tuttavia appare decisiva la qualità della terra su cui cade, e per tre volte il destino del seme è fallimentare: sulla strada, è divorato dagli uccelli del cielo, nel terreno sassoso, non mette radici, e appena germoglia, secca al primo sole, tra i rovi, cresce, ma è soffocato dalle spine. Ora, nelle due ultime parabole, l’insistenza di Cristo è su due caratteristiche paradossali del Regno, in quanto, nella parabola del seme che, comunque, germoglia e cresce, sono messe in luce la passività e quasi l’inefficienza dell’azione umana, nel senso che è la potenza di Dio, nascosta nella fragilità del seme, che fa accadere il Regno, mentre nella parabola del granello di senape, si rivelano la grandezza nascosta in ciò che è piccolo ed è minimo, ed insieme la sproporzione assoluta tra l’inizio e lo sviluppo. In questo modo, Gesù ci mette in guardia da rischi spesso presenti nell’esistenza cristiana, di chi vive un’ansia per il bene, come se tutto dipendesse da lui e magari riduce la vita stessa della Chiesa ad un’estenuante programmazione di attività pastorali e simili, o di chi non si fida dell’agire di Dio nella debolezza, e alla fine pensa di usare i soliti mezzi umani per rendere efficace la testimonianza della fede (l’efficienza, la grandezza, l’egemonia). Nel quadretto del seme che germoglia e cresce, sia che il contadino dorma, sia che vegli, “di notte o di giorno”, ci viene ricordato che la vita ha un suo ritmo che niente può trattenere, e che la terra della nostra esistenza, se ha ricevuto il dono di questo seme, che è la presenza e la parola viva di Cristo, è destinata a portare frutto automaticamente, “per impulso proprio, per azione spontanea” (così andrebbe tradotto il testo greco): “Il regno di Dio è di Dio. Quindi l’uomo non può né farlo né impedirlo. Può solo ritardarlo un po’ – come una diga sul fiume” (S. Fausti). Questa è la prima buona notizia che è racchiusa nella parola di Gesù, e accanto ad essa, la parabola del granello di senape, che crescendo diventa un albero grande e frondoso, esprime il modo originale con cui Dio crea una storia nuova. Come tutte le realtà autentiche e significative, il Regno nel suo sorgere sembra ben poca cosa, basta pensare al piccolo gruppo di discepoli intorno a Gesù, o a quante volte la stessa esperienza si è rinnovata nella storia della Chiesa: nuove comunità religiose, nuove forme di vita cristiana normalmente sono nate da piccoli gruppi di uomini e donne, raccolti intorno a un maestro, un testimone; ma basta pensare alla nostra storia personale, spesso segnata da incontri che, all’inizio, sembrano un caso, un “niente”, ma che nel tempo sono fecondi e generano una bellezza per noi e per tutti. In fondo, in modo diverso, le due parabole annunciano il paradosso della Pasqua di Cristo: l’opera di Dio, che accade per grazia e non per genialità degli uomini, e che nella debolezza estrema della croce, pone l’inizio di una nuova creazione.

É il più piccolo di tutti i semi, ma diventa più grande di tutte le piante dell’orto
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