La parola
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Esaltazione della Santa Croce, Giovanni 3, 13-17

Bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

In questa domenica si celebra la festa l'Esaltazione della Santa Croce: l'origine di una tale festa ci riporta a Gerusalemme, dove, secondo la tradizione, fu ritrovata parte della croce di Cristo nel IV secolo, e successivamente nel 628 la preziosa reliquia, portata via dai Persiani, fu ricondotta nella Città Santa dall'imperatore bizantino Eraclio. In realtà, nella celebrazione liturgica, l'attenzione non va tanto alla memoria di questi eventi passati, ma al segno perenne di grazia e di salvezza che è il Signore innalzato sulla croce. C'è qualcosa di scandaloso nella festa di oggi, perché sembra paradossale "esaltare" la croce che, in sé, è segno di morte, è un terribile supplizio patito da molti uomini, colpevoli ed innocenti, è uno dei numerosi e orrendi strumenti di tortura e di umiliazione, creati dalla crudeltà umana. Ovviamente noi non esaltiamo la croce, per quello che è stata originalmente, ma per quello che è diventata, da quando su di essa ha disteso le sue braccia Gesù, il Figlio di Dio divenuto figlio dell'uomo, che "umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce" (Fil 2,8): proprio su quel legno si è realizzata la vera esaltazione, si è manifestata l'autentica gloria, si è compiuta la nostra liberazione dalla morte.
Il passo del vangelo di Giovanni, offerto al nostro ascolto, è un potente annuncio del mistero racchiuso nel segno del Figlio crocifisso, innalzato dagli uomini, attraverso l'esecuzione capitale sulla croce, ma più profondamente innalzato, esaltato, glorificato da Dio, che non poteva lasciare Gesù nel buio della morte: un segno che, guardato con gli occhi della fede, è capace di ridare vita e di guarire dai morsi del peccato, della tristezza, della disperazione, così come il serpente di bronzo, fatto da Mosè e messo su un'asta, era il segno dato agli ebrei nel deserto, perché, guardandolo, potessero essere guariti dai morsi dei serpenti velenosi. Solo che ora allo sguardo credente, si rivela qualcosa d'inaudito e d'immenso, che è la sostanza del "Vangelo", dell'annuncio buono e lieto che Cristo porta alla nostra vita e di cui si fa eco l'evangelista Giovanni: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna". Sono parole sentite tante volte, forse senza mai ascoltarle nel profondo, o senza che avessero un'eco nel cuore e nell'esistenza, ed in effetti non basta la ripetizione verbale di certe parole, pur grandi e vere, a ferire e a muovere il cuore, occorre che lo Spirito, che ha suggerito queste parole, le renda vive e forti in noi, occorre che il mistero d'amore, in esse contenuto, possa essere riconosciuto e quasi sorpreso, attraverso segni e volti che incarnano, qui e ora, la tenerezza infinita di Dio.
Di questo mistero ci parla la croce di Cristo, se siamo disponibili a sostare davanti a questo segno, di un amore eccessivo, quasi folle di Dio, il Padre, che ha così a cuore il destino del mondo, in particolare il bene di ogni uomo, da dare il suo Figlio, da consegnarlo nelle mani degli uomini, testimone innocente e fedele del Regno e della misericordia del Padre. In Cristo innalzato e trafitto sulla croce, possiamo avvertire con stupore quanto noi siamo amati da Dio, quanto Dio desidera donare a noi "la vita eterna", la vita vera e piena che è in lui e che travalica i limiti della morte, e quanto sia reale la minaccia di una perdizione eterna, condizione terribile che l'uomo può scegliere con il suo "no" all'Amore, con la sua connivenza voluta e irrevocabile con il peccato e con il Principe di questo mondo.
La croce di Cristo si giustifica solo su questo sfondo drammatico, che investe la storia e la trasforma in una lotta tra la luce e le tenebre, tra la verità e la menzogna, tra la grazia e il peccato: una lotta in cui si è coinvolto e si coinvolge il Padre, con una volontà positiva, perché "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui". La croce innalzata come segno di salvezza, ci parla continuamente di questo amore che percorre tutte le strade possibili per strapparci dalla morte, che non vuole pronunciare parole di condanna, ma di vita, ma che, come ogni amore, s'arresta sulla soglia della libertà e attende, trepidante, un cenno, una fessura in cui entrare, un varco per essere accolto.

Bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo
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