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Dalla pandemia alla guerra: come immaginare una rinascita?

Dal Sinodo - comunione, partecipazione, missione - una strada di dialogo, giustizia e pace

Nel giro di pochi giorni ci siamo trovati sbalzati da una barca all’altra. Neanche il tempo di un sospiro di sollievo velato dalla speranza di un’attenuazione del fenomeno virale (che tuttavia non dà segno di sostanziale regressione e richiede ancora molta attenzione) ed eccoci coinvolti in una tragedia molto più ampia e ripugnante perché non è opera di casualità naturale ma dell’uomo.

Eravamo stati già smentiti quando al culmine della pandemia ci dicevamo “tutti sulla stessa barca” e poi nel tempo ci siamo ritrovati “normali” ovvero con le questioni e i comportamenti di sempre. Con al momento poche vie di uscita, ci troviamo ora imbarcati in una guerra che si sta rivelando più drammatica dell’invasione di un virus che in qualche modo può comunque essere debellato.

In questi tristi giorni, sul nostro più o meno quieto vivere si affacciano gravi problemi che minacciano di distruggere il pianeta e la pacifica convivenza umana, fondata sul dialogo e sulla reciproca comprensione. Ci vediamo costretti a fare i conti con la violenza di una guerra che mai avremmo immaginato nel tempo tecnocratico e con le ripercussioni globali che fanno rima con crisi energetica, alimentare, economica, rimandando in secondo piano ben altri obiettivi degni di uno sviluppo umano sostenibile.

Senza entrare nel merito di una condizione contingente ed emergenziale mi pare che ci sia un termine che deve farci riflettere e che rischia di dominare in futuro: diseguaglianza. Come già per la pandemia, anche la guerra colpisce tutti (sulla stessa barca, nella stessa guerra) ma ancora una volta ci sarà chi pagherà di più.

È ben noto che con le guerre c’è sempre chi ci guadagna e nel nostro caso faranno salti di gioia certamente i produttori di armi; non mancheranno di arricchirsi anche gli operatori di prodotti energetici ed agricoli, nonché di molti minerali oltre che, come sempre, gli speculatori di borsa. Alla fine i ricchi e potenti saranno sempre più ricchi e potenti e gli altri, man mano che scendiamo la scala del benessere e benestare sociale, saranno sempre più miseri fino ad arrivare ad ingrossare le fila di coloro che saranno cacciati anche dal gradino più basso. Le conseguenze della crisi ucraina sull’economia globale potrebbero dunque, ovviamente, essere molto rilevanti.

Nel grande cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, sentiamo traballare il nostro privilegiato modo di vivere, le nostre certezze già messe a dura prova dal Covid 19; i nostri orizzonti e le nostre energie, riflessioni e analisi sono per la maggior parte sequestrate, al pari delle nostre emozioni, dalla guerra in Ucraina. Difficile immaginare un futuro nel segno delle emergenze e della diseguaglianze, frutto dell’ingiustizia.

In queste settimane in cui ancora una volta abbiamo toccato con mano espressioni di grande solidarietà, dobbiamo però affermare che le diseguaglianze non si superano solo con la solidarietà, soprattutto quando questa è occasionale, emotiva e limitata alle emergenze.

Spesso ho letto titoli declamanti la “gara di solidarietà”. Ma le gare finiscono. Anche quella della solidarietà rischia di essere un rifugio temporaneo senza vincitori e di restare sullo sfondo della vicenda umana se non si coglie come opportunità per aprire spiragli di speranza e di amicizia orientati ad una permanenza di attenzione e di cura. Riprendersi in mano il futuro passa da un cambio di passo, da passi fatti insieme per il bene di tutti. Non è uno sguardo di futuro neppure pensare di risolvere le umane e globali questioni sociali proiettando riflessioni e scelte sul tanto sospirato PNRR. Certamente servono i denari ma o la ripresa parte da un universale cambio di atteggiamento (che prevede giustizia, pace, dialogo) o si consumerà in progetti di ripresa ancora una volta carichi di diseguaglianze.

Come parlare seriamente di un piano di rinascita quando il presente mediato da immagini crude, da notizie spesso difficili da decifrare ci offre le previsioni più cupe senza speranza? Come parlare seriamente di un piano di rinascita quando tutto pare orientato ad una rincorsa ad accaparramenti e distribuzioni di risorse economiche senza una strategia di giustizia, di sviluppo sostenibile ma soprattutto umano? Come pensare al futuro affidato alle energie rinnovabili senza rinnovare le energie umane, senza prevedere processi di partecipazione ed inclusione generativa per porre le basi, per rifondare una società equa che trasformi le lance in vomeri, che sostituisca a difesa e offesa quel dialogo tanto trascurato?

Se la mancanza di dialogo è una delle componenti più evidenti (senz’altro la prima) della tragedia che accompagna questa Settimana Santa, credo che antidoto alla diseguaglianza e base della ripresa non sia la distribuzione di denari ma la distribuzione, sul territorio, di luoghi capaci di trasformare, nella semplicità del quotidiano, tempi e modi di vivere, di convivere.

In questa integrazione entra in gioco il cammino sinodale che sta vivendo la Chiesa locale. Cammino che attraverso parole chiave quali comunione, partecipazione, missione può tracciare una strada percorribile a tutto campo per una società, per una città che viva in comunione/amicizia, in partecipazione/condivisione e che abbia come missione quella di instaurare un futuro migliore.

Un futuro dove giustizia e pace non siano parole invocate a seconda delle realtà, dove la buona solidarietà non sia solo occasionale ma una solidità, un continuo atteggiamento di cura che profuma di presente e di futuro. L’ispirazione sinodale investe la chiesa locale in quel processo di amicizia sociale proposta dalla Fratelli tutti. Evitando di rifugiarsi in “mondi privati” anche la Chiesa genovese ha la grande opportunità di declinare i verbi del dialogo e dell’amicizia sociale. Non si tratta di fare gare ma di camminare insieme.

*Direttore Fondazione Auxilium

Fonte: Il Cittadino
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