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La sedia della felicità

La sedia della felicità

Bruna è un’estetista che non riesce a pagare le rate per i suoi macchinari e ogni giorno deve lottare per non farseli portare via. Dino è un tatuatore a cui i clienti scarseggiano e quei pochi che ha lo pagano non con soldi ma con beni materiali, tipo un’orata gigante. Bruna ha appena scoperto di essere stata tradita dal fidanzato, Dino è separato, non riesce a pagare gli alimenti alla moglie, che non gli lascia vedere il figlio. Bruna e Dino sono brave persone, ascoltano gli altri nel loro lavoro e tentano di sopravvivere come possono. La sorte, però, sembra essersi accanita contro di loro. Improvvisamente, complice la ricerca di un fantomatico tesoro nascosto dentro ad una sedia, i due si incontreranno, si alleeranno e insieme andranno alla ricerca dell’inaspettato tesoro. La loro caccia al tesoro li porterà addirittura fino alle bellissime montagne delle Dolomiti e tra i due nascerà una bella storia d’amore.
“La sedia della felicità” è l’ultimo film di Carlo Mazzacurati, che è morto qualche mese dopo averlo girato. E nonostante il regista italiano già sapesse di avere un male incurabile, che lo stava a poco a poco spegnendo, il film è una commedia surreale e favolistica, piena di speranza, buonumore e risate. Radicato nel Nordest, il film ribadisce il territorio del cinema di Mazzacurati e punta su due “perdenti”, che scoprono la ricchezza della vita. Dino e Bruna, sono personaggi lunari e malinconici come quelli de “La lingua del Santo”, precedente pellicola dell’autore, e si muovono all’interno di una realtà altrettanto surreale e sgangherata. Si va dal mago di provincia che fa spettacoli in alberghi di lusso, al pescivendolo collezionista di sedie, alle colonie di immigrati cinesi che, come alieni, popolano le periferie delle città, alle vecchie e rispettabili signore che praticano sedute spiritiche.
Con garbo onirico, la movimentata commedia di Mazzacurati cambia lo stile del suo cinema, sperimentando una narrazione che pratica leggerezza e sorriso. Si ride tanto con “La sedia della felicità”, che “esagera” i tratti dei personaggi e delle situazioni, rimanendo però sempre fedele al reale. Divertito, lieve e personale, lo sguardo dell’autore veneto coglie ancora una volta le contraddizioni esistenziali, trasfigurandole e deformandole in una racconto dominato dal caso. Per caso avvengono gli incontri, gli abbandoni, le rivelazioni, i ritrovamenti. Debuttano nel cinema dell’autore i due protagonisti: Valerio Mastandrea, paladino gentile dai tempi comici perfetti, e Isabella Ragonese, piena di grazia e riservata bellezza. Due solitudini che si trovano e scoprono la bellezza dell’amore. Tanti, invece, sono i camei di attori che hanno recitato già con Mazzacurati: da Giuseppe Battiston, ad Antonio Albanese, da Fabrizio Bentivoglio a Silvio Orlando, quasi a voler racchiudere nel suo ultimo film tutte le facce, le storie, gli amici raccontati nella sua carriera. Un film gentile, malinconico, ma pieno di speranza e di tenerezza, che è il testamento spirituale di un regista che, nonostante la malattia, dimostra di aver capito il vero senso della vita e quale sia la vera ricchezza e la vera felicità.
 

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