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Una tassa sui più deboli, il governo fa marcia indietro

Terzo settore e volontariato invocano lo stop a una tassazione ingiusta e controproducente

Una tassa sui più deboli, il governo fa marcia indietro

La decisione di innalzare l’Ires (Imposta sul reddito delle società) dal 12 al 24% a carico delle realtà del Terzo settore obbliga oggi il governo a fare un, seppur tardivo, passo indietro. Qualcuno si dev’essere accorto, fra i palazzi della politica, che colpire chi opera il bene non sarebbe né giusto né opportuno. Da qui la retromarcia annunciata dal premier Giuseppe Conte: “In merito alla norma sull’Ires formulata nella legge di Bilancio attualmente in discussione alla Camera dei deputati, provvederemo quanto prima, a gennaio, a intervenire per riformulare e calibrare meglio la relativa disciplina fiscale”. A dettare la linea lo aveva preceduto il vice premier Luigi Di Maio il quale nel corso della giornata aveva affermato che la tassazione dell’Ires per gli enti no profit “va cambiata nel primo provvedimento utile. Si volevano punire coloro che fanno finto volontariato ed è venuta fuori una norma che punisce coloro che hanno sempre aiutato i più deboli”. Più tardi eguale ripensamento da parte dell’altro vice premier, Matteo Salvini.

No profit. La norma porterebbe nelle casse dello Stato meno di 120 milioni di euro in tutto. Una cifra modestissima per un provvedimento, sbagliato e miope, che avrebbe contraddetto la tassazione agevolata introdotta decenni or sono e mai toccata nel corso del tempo da alcun governo. Fra l’altro la sottosegretaria all’Economia Laura Castelli aveva appena ribadito che la decisione sarebbe stata difesa e conservata tale quale: “Era nel pacchetto del governo arrivato dopo la chiusura dell’accordo con l’Unione europea. È tutelato assolutamente il ‘no profit no profit’. Il ‘no profit’ deve stare tranquillo perché la norma si riferisce a chi fa utili”. Parole confuse e giornata convulsa nelle sedi governative, chiamate a fare i conti con l’alzata di scudi da parte delle oltre 6.200 realtà del no profit che verrebbero gravemente colpite nella loro opera di assistenza.

Voci laiche e del mondo cattolico. Sul problema erano intervenuti sia i rappresentanti di realtà “laiche” a vario titolo impegnate nel volontariato e nell’assistenza ai più bisognosi – come ad esempio il Forum del Terzo settore con la portavoce Claudia Fiaschi, e con Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo e dell’Acri –, sia realtà del mondo cattolico, che figura tra gli assi portanti del no profit nazionale.

Il presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, e il segretario generale, mons. Stefano Russo, avevano segnalato la gravità di un tale provvedimento. S’erano quindi aggiunte le voci di diversi responsabili territoriali della Caritas e delle Misericordie, di Fondazioni ed enti cattolici quotidianamente al servizio di disabili, malati, anziani, come i frati del Sacro convento di Assisi. La norma portata avanti dal governo infatti colpirebbe pesantemente, per fare solo due esempi a tutti noti, la Piccola casa della Divina provvidenza (Cottolengo) e la Fondazione Don Carlo Gnocchi.

“Provvedimento da ritirare”. Paolo Pigni – direttore generale della Fondazione Istituto Sacra Famiglia Onlus, fondata nel 1896 da don Domenico Pogliani, con sede a Cesano Boscone (Milano), realtà che nel 2018 ha assistito 13mila persone – commenta per il Sir: “Questo provvedimento è una brutta sorpresa che si unisce a una situazione molto difficile per realtà come le nostre che da anni non vedono un centesimo di adeguamento delle tariffe pagate dagli enti pubblici per servizi fondamentali erogati, come accade alla Sacra Famiglia, a disabili gravi, ad anziani in condizioni molto precarie, a centinaia di pazienti affetti da sindrome dello spettro autistico”. La Sacra Famiglia dà lavoro a più di duemila persone “ed è sostenuta – tiene a specificare Pigni – da circa 1.300 volontari”. Il direttore generale va oltre: “Nonostante il nostro bilancio sia in perdita, noi paghiamo significativi importi per imposte e tasse e la manovra, con il raddoppio dell’Ires, porterebbe un aggravio economico aggiuntivo di almeno 350mila euro all’anno. Ciò comporterà la riduzione delle risorse disponibili per le nostre attività, ovvero meno persone assistite. Oppure saremo costretti a chiedere più denari alle famiglie degli stessi assistiti! Francamente – aggiunge Pigni – ci sfugge il senso dell’iniziativa del governo Peraltro non mi risulta che essa produrrebbe un gettito tale da cambiare l’impianto della Finanziaria”. E conclude: “Contiamo sul fatto che il provvedimento venga chiaramente e rapidamente ritirato”.

Fonte: Sir
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