Chiesa e mondo
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Il Papa all'Angelus: "Anche oggi chi vuole vedere Gesù, il primo e più comune segno che incontra è il crocifisso"

Dio scrive dritto sulle righe storte della nostra condizione umana: "Con la sua grazia, ci fa portare frutto, anche quando il terreno è arido".

Il Papa all'Angelus: "Anche oggi chi vuole vedere Gesù, il primo e più comune segno che incontra è il crocifisso"

“È venuta l’ora che il figlio dell’uomo sia glorificato”. Il tema dell’ora attraversa tutto il quarto Vangelo, a partire dalla risposta che Gesù dà a sua madre a Cana, durante il banchetto di nozze. È consapevole di avere una missione da compiere; sa che lui è il seme che nella terra muore per dare frutto, per rinascere e far germogliare una nuova vita.

È venuta l’ora. Uomini e donne affollano le strade della città santa che vive l’attesa della Pasqua. Sono gli ultimi giorni terreni di Gesù e domenica prossima racconteremo la sua entrata nella città santa, accolto e salutato da giovani e meno giovani che agitano le palme. I Vangeli raccontano che sarà tradito, catturato, condannato a morte. Ma come sappiamo la storia non si ferma a venerdì, perché tre giorni il suo sepolcro sarà trovato vuoto, la pesante pietra rotolata. È la terza e ultima Pasqua vissuta da Gesù a Gerusalemme; i sommi sacerdoti hanno già deciso la sua sorte, hanno già costruito quel percorso che lo porterà a salire il Golgota.

È venuta l’ora. In quei giorni Gerusalemme accoglie anche non ebrei, pagani che si sentivano attirati dalla religione di Israele, come quei greci che avvicinano Filippo. Forse lo vedono come uno di loro, infatti egli veniva da una città della Galilea, Betsaida, abitata da molti greci, e greco è il suo nome, così gli chiedono: “vogliamo vedere Gesù”. Filippo va dal fratello Andrea, altro nome greco, e insieme vanno da Gesù. La domanda nasconde il desiderio di conoscere il “rabbi” di cui tutti parlano. Quei greci hanno ascoltato i racconti di guarigioni, del suo modo autorevole di rivolgersi a dotti e sacerdoti, di come guarda con amore poveri e sofferenti: quanto scalpore deve aver fatto la resurrezione di Lazzaro. Un uomo di successo, diremmo oggi, da copertina dei settimanali patinati, anche “uomo dell’anno” per qualche rivista. Un successo che inquietava il mondo religioso del tempo.

A Cana non era ancora il momento, ora sì “è venuta l’ora”.

Papa Francesco è nella biblioteca del Palazzo apostolico, non ci sono persone in piazza san Pietro. Sarà un’altra Pasqua senza folle, ma intenso e struggente silenzio. “Vogliamo vedere Gesù” chiedono i greci a Filippo. Parole che vanno al di là dell’episodio particolare e rivelano un desiderio che attraversa epoche e culture. La risposta del Signore è motivo di riflessione, in quanto egli parla del “seme nascosto pronto a morire per dare molto frutto. Come a dire: se volete conoscermi e capirmi, guardate il chicco di grano che muore nel terreno, cioè guardate la croce”. Anche oggi chi vuole vedere Gesù, il primo e più comune segno che incontra è il crocifisso: “nelle chiese, nelle case dei cristiani, anche portato sul proprio corpo. L’importante – dice il Papa – è che il segno sia coerente con il Vangelo: la croce non può che esprimere amore, servizio, dono di sé senza riserve: solo così essa è veramente l’’albero della vita’, della vita sovrabbondante”. Ecco la grande responsabilità delle comunità cristiane: “anche noi dobbiamo rispondere con la testimonianza di una vita che si dona nel servizio. Si tratta di seminare semi di amore non con parole che volano via, ma con esempi concreti, semplici e coraggiosi. Non con condanne o gesti clamorosi”.

Trascurare la parola del Signore, il risultato può essere solo distruzione e ingiustizia. Ma Dio scrive dritto sulle righe storte della nostra condizione umana. “Con la sua grazia, ci fa portare frutto, anche quando il terreno è arido a causa di incomprensioni, difficoltà o persecuzioni, o pretese di legalismi o moralismi clericali. Questo è terreno arido”. Proprio “nella prova e nella solitudine”, dice Francesco, “mentre il seme muore, è il momento in cui la vita germoglia, per produrre frutti maturi a suo tempo. È in questo intreccio di morte e di vita che possiamo sperimentare la gioia e la vera fecondità dell’amore, che sempre si dà nello stile di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza”.

Così invita alla vicinanza, a non dimenticare le vittime innocenti della mafia, Nella Giornata della memoria e del ricordo chiede di “rinnovare il nostro impegno contro le mafie”, già condannate da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Sono “strutture di peccato”, afferma, “strutture mafiose, contrarie al Vangelo di Cristo, scambiano la fede con l’idolatria”.

Fonte: Il Cittadino
Il Papa all'Angelus: "Anche oggi chi vuole vedere Gesù, il primo e più comune segno che incontra è il crocifisso"
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