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Che Dio ci aiuti

Che Dio ci aiuti

Suor Angela è tornata e il pubblico l’ha accolta subito con caloroso affetto (gli ascolti viaggiano già sopra la soglia del 20%). È iniziata, infatti, dall’8 gennaio su Rai Uno la quarta stagione di “Che Dio ci aiuti”, serie televisiva italiana prodotta dal 2011 dalla Lux Vide (la “Bibbia”, “Don Matteo”, “Un passo dal Cielo”, “Medici”) con Rai Fiction, nata come spinoff/ cross-over di “Don Matteo” (dieci stagioni dal 2000). Si ricorda proprio quel passaggio di consegne tra don Matteo (Terence Hill) che sul finire dell’ottava serie incontrava (si scontrava proprio!) in sella alla sua bicicletta una suora, appunto suor Angela, che guidava un pulmino come una spericolata. È iniziato così “Che Dio ci aiuti”, con una “benedizione televisiva” da parte del prete più popolare del piccolo schermo, erede di padre Brown (Renato Rascel), e subito è arrivato il consenso, di pubblico e share. Ma qualcosa è cambiato dalla prima serie. Suor Angela accanto ai giovani e agli ultimi. Inizialmente “Che Dio ci aiuti” è piaciuta al pubblico perché ha saputo trovare una linea di continuità con “Don Matteo”, coniugando quel mix di storia poliziesca, linea romantica, momenti comici e la presenza di una figure religiose trascinanti. Ma il vero passo in avanti per la serie è stato compiuto a partire dalla seconda stagione, quando gli sceneggiatori hanno abbandonato (parzialmente) il modello “Don Matteo” – è venuta meno la pista prettamente poliziesca – a favore di un’attenzione verso temi legati alla quotidianità, alla dimensione familiare, scolastica, sociale, sino alle sfide etiche. Suor Angela ha spalancato le porte del suo convento ai giovani, irrisolti o problematici in cerca di riscatto, trovandosi così a confrontarsi con la vita vera. Al di là però delle varie piste narrative, una delle cose che convince di più di questa fiction è proprio la figura di suor Angela, tratteggiata in maniera sfaccettata e credibile, resa in modo convincente dall’ottima Elena Sofia Ricci, entrata nel ruolo con attenzione, rispetto e trasporto (da non dimenticare la brava Valeria Fabrizi nel ruolo di suor Costanza). Suor Angela è una figura positiva ed esemplare, ma anche imperfetta e profondamente umana. Sbaglia, commette errori, a volte imbroglia e agisce in maniera scorretta, ma sempre a fin di bene. È una figura che emana umanità, che mostra la luce che viene dall’aver abbracciato la croce, dall’aver scelto il Signore, ma ricorda anche che si cade, che si è fragili e pronti però a risollevarsi. Suor Angela ha persino un passato ingombrante – è una ex detenuta per rapina e tentato omicidio –, un fardello con il quale si è riconciliata grazie a Gesù e che porta con sé con orgoglio, perché è proprio lì, nell’errore, che ha avuto inizio la sua risalita; lì c’è stato l’incontro con Gesù, che l’ha amata, perdonata e invitata a giocarsi per l’altro. Suor Angela è solo l’ultimo ritratto di religiosa esemplare, lontana dallo stereotipo del prete (o suora) bacchettone o macchietta umoristica. Il cinema – cfr. D.E. Viganò, “Preti di celluloide”, Cittadella 2010 – ha proposto numerose figure di religiosi ispirati a storie vere o di finzione, declinati con generi differenti, dalla commedia al dramma, dal noir all’horror; racconti di missionari, preti sociali o grandi educatori. Pensando al profilo di suor Angela, il pensiero va immediatamente a don Camillo interpretato da Fernandel. Come lui, anche suor Angela si ritrova nella cappella a parlare con Gesù, da cui attende come da un amico discernimento e consigli. A differenza di don Camillo, qui la voce di Dio sceglie il silenzio.

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