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II lettura di domenica 2 ottobre - XXVII domenica del Tempo Ordinario

La fedeltà - ANNO C

II lettura di domenica 2 ottobre - XXVII domenica del Tempo Ordinario

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
2 Tm 1,6-8.13-14

Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.
Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.
Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.

Dalla prigionia – probabilmente l'ultima, a Roma, prima del martirio – in cui è trattato “come un malfattore”, Paolo scrive ancora una volta al discepolo Timoteo.

Lo esorta affettuosamente a non lasciar illanguidire, anzi “a ravvivare” il carisma ministeriale che egli stesso gli ha trasmesso mediante “l'imposizione delle mani”: gli ricorda cioè l'impegno di custodire la Grazia – “dono di Dio” – conferita nel rito, il quale oltre ad indicare la trasmissione di un incarico, probabilmente aveva l'efficacia sacramentale dell'Ordinazione sacerdotale.

Timoteo è invitato a non lasciare assopire “lo spirito di forza, di amore e di saggezza”, ma di dare tutto il proprio apporto, superando pure la naturale timidezza, che nei momenti di pericolo e di persecuzione potrebbe avere il sopravvento.

È un invito a restar fedele a Cristo e a Paolo stesso, a rendere testimonianza ad entrambi, a non sottrarsi alle sofferenze “per il Vangelo”: se il discepolo non si ritrae, certamente “la forza di Dio” lo sostiene. Alla fedeltà del discepolo fa immancabilmente riscontro l'aiuto di Dio.

Dunque è richiesta fedeltà all'impegno cristiano e fedeltà all'impegno apostolico di uniformare la vita al “modello” delle “sane parole” delle verità trasmesse da Paolo.

È l'impegno specifico dell'apostolo che deve “custodire il buon deposito” della Tradizione; intatto da ogni contaminazione. Secondo il diritto romano chi riceve in “deposito” qualcosa é obbligato a riconsegnarla intatta non appena il depositante ne fa richiesta; ogni manomissione o uso arbitrario del deposito vien punito con gravi pene; il depositante da parte sua ha l'obbligo di indennizzare il depositario per i pericoli oc­corsi e per le spese sostenute.

L'apostolo è depositario del messaggio divino: deve ri­sponderne persino con la sua vita. Lo Spirito Santo “abita” nell'apostolo, affinché,  nell’espletamento della sua missione di maestro non incorra in deviazioni.

Fonte: Il Cittadino
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