La parola
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5a Domenica del Tempo Ordinario (anno A), Matteo 5,13-16

Voi siete la luce del mondo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

A chi sono rivolte le parole di Gesù che Matteo colloca nell'avvio del discorso sul monte? Ai discepoli che vivono la grazia delle beatitudini (Mt 5,1-10), fino ad essere perseguitati e insultati a causa di Cristo (5,11-12), in un'immedesimazione totale con il loro Maestro, povero di spirito, afflitto, mite, affamato e assetato di giustizia, misericordioso, puro di cuore, operatore di pace e perseguitato per il Regno. Colpisce che le espressioni di Gesù non sono in forma esortativa, ma indicativa: "Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo". Certo il sale può perdere sapore, e allora non serve a nulla, la luce può essere nascosta e allora non illumina nessuno, ma i discepoli non devono preoccuparsi di dare sapore o di infondere luce, bensì d'essere sale e luce, perché ciò che siamo, inevitabilmente si mostra e diviene operante nel mondo. Una persona, una comunità sono sale, quando hanno il sapore delle beatitudini, e come il sale dà gusto e impedisce la corruzione degli alimenti, come il sale, nella Scrittura, è segno di sapienza e di amicizia, così se iniziamo a vivere la novità manifestata dalle beatitudini, nella sequela di Cristo, riceviamo e rendiamo presenti un modo più intenso e pieno di sapore nel vivere l'esistenza, e ci ritroviamo capaci di una sapienza ignota al mondo e di un'amicizia reale con i nostri fratelli. Il sale di sua natura dà sapore e ne basta poco per rendere gustoso un cibo, l'importante è che non sia scipito: in questo senso c'è un rischio sempre possibile nella vita dei discepoli, ed è quello di perdere il sapore di Cristo, di non vivere una comunione con Lui, e di ridurre la fede a qualcosa di stanco, di formale, che non genera più nessun gusto di vita nuova; in questo caso succede, come ampiamente attesta la storia, che l'esistenza cristiana non dica più nulla al mondo e che talvolta la stessa comunità cristiana, che non ha il sapore di Cristo, non serva più a nessuno e diventi una sorta di museo di glorie passate. Nella misura in cui siamo sale della terra, perché la nostra vita "sa" di Cristo e del suo Vangelo, allora siamo luce del mondo, presenza che riflette e fa trasparire la grande Luce che è apparsa con Gesù, così come l'evangelista Matteo ci ha presentato gli inizi del ministero di Cristo, luce che sorge a illuminare coloro che stanno nelle tenebre e nell'ombra di morte (cfr. Mt 4,12-17). Illuminati dalla sua presenza, investiti dalla grazia della sua umanità, i discepoli sono luce e irradiano luce intorno a sé, e se guardiamo al cammino della Chiesa, pur in mezzo a tante ombre, non possiamo non riconoscere questo filo ininterrotto di luce e di bellezza, testimoniato dai santi di ogni tempo. In fondo, dietro le immagini usate da Gesù, c'è la realtà di un'esistenza che, per sé, diviene testimonianza, per ciò che essa è, e può essere una testimonianza a volte più discreta e nascosta, come il sale mescolato agli alimenti, e a volte più visibile e evidente, come una città posta sul monte. L'essenziale non è preoccuparci di una visibilità e meno ancora di una sorta di egemonia cristiana nella società e nella storia, ma essere fino in fondo ciò che siamo, uomini e donne che seguono e amano il Signore Gesù e, passo dopo passo, imparano da Lui a vivere da figli, nella novità e nella gioia del Regno: "Noi dobbiamo cercare non la rilevanza, bensì l'identità. La candela non si preoccupa di illuminare: semplicemente brucia, e, bruciando, illumina. L'identità non può restare nascosta, anche se non fa nulla per farsi vedere: il sale non può non salare e la luce non illuminare. Il problema non è salare o illuminare, ma essere sale e luce" (S. Fausti). In realtà, la vera luce che illumina ogni uomo è Cristo, Verbo incarnato, Bellezza e Verità viventi in un volto d'uomo, l'ebreo Gesù di Nazaret: noi suoi discepoli, alla fine, siamo luce di riflesso, per partecipazione, siamo come una povera lucerna che serve ad illuminare un ambiente circoscritto. Proprio l'immagine finale che Matteo ci propone della lampada posta sul candelabro, per fare luce "a tutti quelli che sono nella casa" ci riporta all'umiltà della nostra condizioni di testimoni di una luce che non ha in noi la sorgente, e di opere buone e belle che non servono ad avere gloria davanti agli uomini, ma a rivelare il volto del Padre perché gli uomini gli rendano gloria. Una lucerna è un oggetto molto povero, è un piccolo vaso di terracotta, con uno stoppino spesso sporco di fuliggine, immerso nell'olio, ma se manca la fiamma, se non è accesa, la lucerna non fa nulla, non irradia nessuna luce: così siamo noi, umili e semplici discepoli dell'unico Signore e Maestro, che possiamo fare luce solo se siamo "accesi" dalla fiamma del suo amore, solo se riceviamo qualcosa che da soli non possiamo darci, né tanto meno comunicare.

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