La parola
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II Domenica Tempo Ordinario (anno B), Giovanni, 1-35-42

Videro dove dimorava e rimasero con lui

«Ecco l'agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì - che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» - che significa Pietro.

Il bellissimo passo di Giovanni appartiene alla settimana inaugurale del suo vangelo, una sorta di prologo narrativo del ministero di Gesù: si apre con la testimonianza del Battista (Gv 1,19-28) e culmina con le nozze di Cana, principio dei segni, inizio della nuova creazione, che Cristo inaugura con la sua presenza di sposo dell’Israele fedele (Gv 2,1-11). Nel cuore di questa settimana, il terzo giorno, si colloca l’incontro dei primi due discepoli con Gesù, un incontro che apre loro un cammino e che racchiude in radice gli elementi essenziali della loro nuova esistenza.
L’evangelista in modo suggestivo utilizza in questo passaggio molti verbi tipici del suo vocabolario per disegnare di fronte a noi il dinamismo proprio della vita di chi ha la grazia di vivere lo stesso incontro con Cristo. Innanzitutto, gioca un ruolo importante Giovanni che dopo aver già reso testimonianza, il giorno precedente, all’identità di Gesù, “il Figlio di Dio” (Gv 1,29-34), ora indica a due dei suoi discepoli la persona del Nazareno con le parole profetiche: “Ecco l’agnello di Dio!”.
I due si mettono a seguire l’uomo sconosciuto, perché non lasciano cadere nel vuoto le parole del loro maestro, e così, fin dall’inizio, appare decisiva la presenza di un testimone che introduce all’incontro con Gesù: questo elemento ritorna nei versetti seguenti, perché sarà Andrea a condurre il fratello Simone a Gesù, così come successivamente sarà Filippo a parlare a Natanaèle del Messia che viene da Nazaret e a rivolgergli lo stesso invito di Cristo ai primi due discepoli: “Vieni e vedi” (Gv 1,43-51); nessuno di noi si fa discepolo da sé, perché la conoscenza di Cristo e la fede in lui nascono e crescono nella grazia di testimoni che ci precedono e che c’introducono in una familiarità sempre più grande con il vero Maestro.
Infatti, un secondo tratto che l’evangelista esprime con forza è il carattere personale e drammatico dell’essere discepoli, perché, se è vero che svolge una funzione essenziale la presenza di un testimone, è altrettanto vero che l’incontro con Gesù è incontro da persona a persona, incontro in cui è coinvolta la libertà del chiamato.
La prima parola che Gesù pronuncia nel quarto vangelo è una domanda – “Che cosa cercate?” – che ritornerà altre volte nel suo racconto (Gv 18,4: “Chi cercate?”; Gv 20,14: “Donna chi cerchi?”), che intende provocare i suoi interlocutori; ad essa i discepoli rispondono con un altro interrogativo che manifesta subito il cuore dell’esperienza a cui sono chiamati: “Maestro, dove dimori?”.
Nel linguaggio giovanneo ciò significa: “Dove possiamo conoscerti? Dove hai le tue radici? Chi sei tu?”.
L’invito di Cristo è immediato e semplice – “Venite e vedrete” – e indica l’unica strada per entrare in una relazione autentica con il Maestro: per vedere dove lui dimora, per scoprire il suo volto, occorre venire a lui, fidarsi di lui, accettare di compromettere la nostra vita con la sua, nella realtà vivente della sua Chiesa, nell’ascolto attento della sua parola, nell’avventura di un rapporto personale con lui.
Così la descrizione di ciò che accadde quel pomeriggio, nell’ora evocata dall’evangelista, “circa le quattro”, non riassume soltanto qualcosa di più ricco e complesso che si è realizzato in quel primo contatto prolungato con Gesù, ma rappresenta sinteticamente ciò che ogni discepolo, di ogni ora e di ogni tempo, è chiamato a rivivere: “Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui”. Andare, toccati e commossi da un invito, vedere dove egli dimora, e dimorare con lui, dando tempo e spazio ad una frequentazione che approfondisce l’impressione iniziale avvertita nel primo incontro: questo è il dinamismo dell’esistenza cristiana, che assume per ogni credente una forma ecclesiale e personale insieme. In fondo, il racconto di Giovanni ci offre gli indizi per riconoscere quando nella nostra vita accade o riaccade un incontro simile, che spalanca il cammino dell’essere discepoli e amici di Cristo, perché, tutte le volte che viviamo “qualcosa”, come l’imbatterci nel volto di un testimone o di una comunità, l’ascoltare, come se fosse la prima volta, una parola della Scrittura che ci fa “ardere il cuore”, il vivere un tempo forte di preghiera che ci mette alla presenza del Signore, e in noi si verifica lo stesso dinamismo dell’inizio, stiamo vivendo la contemporaneità di Cristo alla nostra vita. Un incontro vero con lui lo possiamo riconoscere perché sommuove il cuore, tanto che ne ricordiamo l’ora, provoca la libertà, fa nascere il desiderio di proseguire l’esperienza e di crescere in una familiarità, e suscita il desiderio di condividerlo con altri, come è accaduto ad Andrea che subito ha trasmesso al fratello Simone la certezza scoperta quel pomeriggio: “Abbiamo trovato il Messia”.

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