La parola
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34a domenicaCristo Redell’Universo, Gv 18, 33b-37

Tu lo dici: io sono re. Per questo sono nato e sono venuto nel mondo

Se la massima autorità del popolo di Israele avesse potuto condannare Gesù alla pena capitale, non avremmo mai avuto nel Vangelo questo brano, riportato dall'evangelista Giovanni, con il quale si chiude il nostro anno liturgico. La festa di Cristo Re, come ogni anno, ripropone dunque alla nostra attenzione e devozione la meditazione su questo incontro tra Gesù e la massima autorità del potere civile del tempo, il Prefetto della Giudea Ponzio Pilato (non procuratore, come detto dallo storico Flavio Giuseppe).

Tu lo dici: io sono re. Per questo sono nato e sono venuto nel mondo

Se la massima autorità del popolo di Israele avesse potuto condannare Gesù alla pena capitale, non avremmo mai avuto nel Vangelo questo brano, riportato dall'evangelista Giovanni, con il quale si chiude il nostro anno liturgico. La festa di Cristo Re, come ogni anno, ripropone dunque alla nostra attenzione e devozione la meditazione su questo incontro tra Gesù e la massima autorità del potere civile del tempo, il Prefetto della Giudea Ponzio Pilato (non procuratore, come detto dallo storico Flavio Giuseppe). Lungo tutto il suo Vangelo, Giovanni ci ha mostrato il duro confronto tra Gesù e l'autorità del popolo eletto, confronto verbale, diatribe, scontro tra la luce e le tenebre, tra la verità e la menzogna, tra il Santo e l'impuro. Davanti al Messia Gesù, essi avevano preferito cercare gloria gli uni gli altri, cercare la gloria degli uomini, anziché quella di Dio (Gv 5,44 12,43), manifestatasi nel Verbo Gesù Signore (Gv 1,14 17,5). Così ora Gesù sta di fronte al rappresentante di tutte le altre nazioni, i pagani, i non Ebrei, perché anche per loro è stato costituito 'luce delle Genti'. In effetti il dialogo tra Pilato e Gesù ha qualcosa in più di un semplice interrogatorio in vista di una esecuzione, che peraltro il procuratore romano sembra non voler fare. Qui probabilmente Giovanni (come anche l'evangelista Luca d'altronde), muovendosi in un contesto 'romano', addolcisce un po' la pillola, ossia stempera le asprezze dell'occupazione militare dell'Impero romano nella regione. Far fare bella figura ai Romani, aveva anche lo scopo di far capire ai lettori del Vangelo provenienti dal paganesimo che la dottrina di Gesù non aveva alcuna controindicazione per la loro vita, e chiunque poteva convertirsi e vivere per essa. Ponzio Pilato infatti verrà destituito dalla sua carica e mandato dall'imperatore Caligola nelle Gallie proprio perché l'autorità centrale romana era stufa dei suoi soprusi, delle sue inutili ed arbitrarie atrocità, che non ottenevano altro risultato che gettare benzina sul fuoco della rivolta armata portata avanti da Zeloti e Sicari, associazioni più o meno segrete contemporanee a quelle di Farisei e Sadducei. Il capi del popolo rimangono fuori dalla sede di Pilato, il Pretorio, per non contrarre l'impurità legale del contatto con un pagano non ebreo, che avrebbe impedito loro di celebrare la Pasqua rituale. Ironia dell'evangelista, che sottolinea questa preoccupazione di rimanere puri da parte di persone che stanno mettendo a morte un innocente, ma vogliono poter celebrare in pace ed allegria la loro festa rituale della liberazione dalla schiavitù egiziana. Gesù invece è all'interno. Ed ecco che Pilato inizia una spola tra l'esterno e l'interno, tra gli accusatori e l'innocente, tra la menzogna e la verità, tra i potenti e i prepotenti e colui che si è fatto servo per amore, consegnandosi nelle nostre mani. Pilato rientra, faccia a faccia con Gesù. Essendo un uomo di potere, la sua domanda verte sull'imputazione di accusa portatagli: 'Re dei Giudei'. E' interessato alle sommosse, è avvezzo a guardarsi le spalle dalle congiure. Il suo mondo è quello di persone che sgomitano per dominare sugli altri, per conquistarsi un posto al sole. Come già il re Erode per l'evangelista Matteo, i potenti di questo mondo temono il Messia Gesù solo come colui che potrebbe sottrarre loro lustro, autorità e privilegi. Gesù non nega la sua regalità, anche se questo ci può sorprendere. Avrebbe potuto dire di non avere a che fare niente con i re e i potenti. Avrebbe potuto schierarsi totalmente contro il potere e l'autorità dei re terreni, che quasi sempre sconfina nell'interesse personale, nei soprusi, nei favoritismi e calcoli politici, a non arriva quasi mai ad essere un esercizio del potere in vista del benessere della maggior parte dei cittadini. Non nega, ma si attribuisce una qualità diversa della regalità, una regalità che l'Antico Testamento afferma di Dio stesso. Ci sono molti salmi infatti che parlano di una qualità totalmente diversa della regalità divina rispetto a quella umana, imperfetta e soggetta a prevaricazioni. Sono i salmi tra il 93 e il 99, ad esempio. Ma prendiamo quello che meglio rispecchia ciò che stiamo dicendo, il salmo 146: Il Signore apre gli occhi ai ciechi, il Signore rialza gli oppressi, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, sostenta l' orfano e la vedova, ma sconvolge la via degli empi. Il Signore regna per sempre; il tuo Dio, o Sion, regna per sempre. Mi sembra che qui ci siano tutte le qualità principali richieste da un buon re, secondo il vecchio programma delle sagge leggi ebraiche di Deuteronomio 17. L'uomo deve rispecchiare in terra l'agire di Dio, ciascuno nel suo ruolo. I re dell'antichità avevano il compito di essere un'immagine terrena, verosimile il più possibile, della regalità divina, espressa così bene dalla tenerezza di questo salmo. Non un re maestoso e solenne, ieratico e terribile: Dio è re proprio quando cura le ferite dei deboli, protegge gli emigrati senza patria, fa trovare un qualche tipo di sostentamento alle persone deboli e povere (orfani e vedove). Gesù è re e non lo nega. E' il vero Uomo, colui che riesce a governare se stesso e pertanto ad essere un punto di riferimento anche per gli altri. E' nato per regnare, per rendere testimonianza alla verità, ci ha consegnato la verità cioè del nostro essere creature non più segnate dal marchio della schiavitù, bensì fatte uscire dal carcere della menzogna e della violenza sugli altri per essere libere di aiutare, servire, donare la vita nell'amore ai più piccoli e bisognosi. Ogni cristiano viene battezzato come re, nel nome di Gesù Cristo, ogni bambino cristiano viene immerso nella regalità che Gesù ci ha regalato dalla croce. Innalzato sulla croce, Gesù è ormai il Signore, il Re vero, colui che può mostrare le sue braccia aperte in segno di perdono ed accoglienza nei confronti di tutti, anche di un centurione romano, che rimane colpito dalla dignità regale con la quale Gesù muore. E' una regalità che ci dona dignità, che ci consegna la capacità di dominare le nostre paure ed il male, dandoci forza e strumenti per promuovere il bene di tutti.

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